L’ennesimo sgombero del Boccaccio 003 (nei suoi ultimi 10 anni, fabbrica occupata autogestita di via Rosmini), segue dalla solita speculazione urbanistica boomer e incancrenitasi in tutte le città d’ambizione metropolitana; una riqualificazione economica posta in termini di “servizio alla cittadinanza” che si vorrebbe porre come irrefrenabile colpendo, tra le centinaia di edifici ancora abbandonati, proprio gli spazi liberati e in ottica di liberazione, crocevia di controculture in cui si coltivano autogestione e dissenso, ossia un genere di luoghi che già solo con la loro stessa capacità di esistere fuori dalle misure normative, hanno maggiormente rivelato e contrastato la contraddizione di una riqualificazione repressiva legalmente inscritta in progetti “sociali” e/o “green”.
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Un’area come quella del Boccaccio, in cui negli anni hanno potuto confrontarsi ed attivarsi decine di collettivi, è stata destinata d’ufficio ad una palestra del CAI con ristorazione annessa, grottescamente denominata “Casa della montagna”. La tematica degli abusi edilizi, contro le quali x compagnx di Monza sono statx in aperto conflitto negli anni, è andata quindi in quest’ultimo caso a svilupparsi intorno ad un aspetto sempre più spesso calpestato: il rapporto della società attuale con la natura, il distacco da essa, la tentacolare messa a profitto di ciò che ne resta ancora non del tutto contaminato.
Riportiamo pertanto alcune loro riflessioni, frutto di un percorso a riguardo, pubblicate su Nunatak lo scorso inverno:
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Nella nostra esperienza tante volte siamo entrati in contatto con lotte e iniziative in montagna o a essa dedicate. Certamente occorre qui ricordare le innumerevoli trasferte in Val Susa (o sul Terzo Valico), a fianco del popolo NOTAV, con cui abbiamo condiviso mo-menti di lotta, situazioni conviviali, occasioni di approfondimento che sono divenute per noi un punto di riferimento imprescindibile sul concetto di difesa di un territorio e della sua storia contro le devastazioni del capitale.Come si è già scritto, inoltre, il nostro collettivo è da sempre molto attivo nel tramandare la memoria delle vicende resistenziali e questo obiettivo si è negli anni declinato anche in numerose trasferte sui monti della Valsassina, della Val d’Ossola, delle valli bergamasche, ripercorrendo sentieri partigiani la cui storia è strettamente legata alla resistenza combattutasi qui a Monza.Infine, sempre più attento è lo sguardo che dalla città si pone a tante esperienze di “resistenza agroalimentare” che si stanno moltiplicando nei territori alpini, subalpini e appenninici, attraverso occasioni di scambio e supporto reciproco che il Boccaccio ha organizzato insieme a produttori, piccole comuni, aziende agricole che quotidianamente vivono i territori montani in chiave resiliente e ricca di analogie con le pratiche di autogestione e autoproduzione che sentiamo anche nostre.La montagna è quindi un luogo, un mondo, da vivere o attraversare nella consapevolezza della molteplice stratificazione dei suoi significati, storici, sociali, antropologici e, ovviamente, naturalistici. Un sistema quindi estremamente complesso di relazioni a cui guardare con rispetto e interesse, rifuggendo inutili mitizzazioni e, al contrario, cogliendo insegnamenti e stimoli che da quel mondo sopraggiungono dal passato e nella quotidianità di oggi..È a seguito di questa analisi che ci è stato possibile mettere a fuoco ulteriori contraddizioni tra un modo nostro di intendere l’ecosistema montagna e i progetti del CAI di Monza. Si è scoperto quindi che quest’ultimo è responsabile dell’attuale ampliamento del rifugio del Brentei (Madonna di Campiglio, Trento), un mastodontico progetto edilizio nel cuore delle Dolomiti, scritto e sviluppato dalla stessa persona che guida oggi la progettazione dello sgombero del Boccaccio. È questo un lampante esempio di come si può nuocere alla montagna, innescando processi di turistificazione di massa, rendendo lussuosi e ricchi di comfort i soggiorni in alta quota..L’ingegner Selvagno (questo il nome del progettista) si è accaparrato quasi due milioni di euro di soldi pubblici a fondo perduto, potendo così investire due spiccioli per l’acquisto del Boccaccio. Questo intervento in Trentino è l’emblema di una visione predatoria e neo-liberista di guardare ai territori, un vero esempio di mercificazione dell’alpinismo che, in fin dei conti, ben si rispecchia anche nel progetto pensato per via Rosmini 11. “La casa della montagna” è infatti un progetto calato dall’alto, che in città non risponde ad alcuna esigenza latente, considerando le già numerose palestre presenti nell’arco di pochi chilometri. Il tentativo però è quello di creare il consueto “polo attrattivo”, di cui la montagna diventa a tutti gli effetti corollario o, peggio ancora, feticcio distorto da agitare alla ricerca di cittadini impigriti.La rappresentazione della montagna come divertimentificio a pagamento si fa catalizzatore di investimenti, scusa per la “rigenerazione” urbana, e motore per uno sgombero..
la necessità di autodeterminarsi e riformulare nel qui ed ora le proprie forme di riappropriazione e resistenza ❤
Esprimiamo solidarietà per lo sgombero avvenuto ieri e insieme tutto il nostro entusiasmo nell’apprendere della nuova occupazione in via Timavo!
LUNGA VITA, RIBELLI !