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Autore: la scintilla

sabato 15 gennaio – FALLACE LA ROTTA DEL DOMINIO TOTALE

Posted on 2022/01/09 - 2022/02/01 by la scintilla

 

 

 

 

PER AGGIORNAMENTI RECIPROCI / SCAMBI CRITICI / NO COVID PARTY / NO SOCIALISMO REPUBBLICHINO / NO MACHOS UNITARI / SÌ COLLETTIVISMO MINORITARIO / SÌ DISAGIO PSICOSOCIALE / SÌ RABBIA INFORMALE

dalle 16:00

X dibattiti informali X con:

X HIRUNDO edizioni / LA NAVE DEI FOLLI da Torino

X compagnx dell’assemblea popolare di Busto Arsizio da Varese

X C.A.M.A.P. collettivo antipsichiatrico da Brescia

X individualità anarchiche sciolte da Bologna, sulla iatrogenesi

 

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NEGAZIONE DELLA MORTE // NEGAZIONE DELLA VITA
XXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXXX

Da una totalizzante mercificazione del selvatico attraverso processi di devastazione della natura,

all’assunzione di un dogmatismo politico per risolverne i disastri ecologici, nell’abbaglio di approdi tecno-scientifici sempre più pervasivi...

E da vincoli di bilancio su sistemi assistenziali di base e burocratizzazione degli accessi alla cura,

a derive coercitive che tenterebbero rovinosamente di sopperirvi.

Nel rimosso di un post-moderno principio di salute, che rifiutiamo di applicare,

continua a spargersi il cancro della speculazione privatistica aziendale…

 

Se c’è qualcosa che ancora ci resta, in una sempre più pervasiva espropriazione e strumentalizzazione dei nostri bisogni, sta all’opposto di queste,

una ormai flebile ma inestinguibile determinazione a negare ogni influenza che le autorità si arrogano di poter diffondere sulle nostre vite.

XXX

“Lontano dalle codificazioni.
In questo disperato tentativo forse ne abbiamo costruito altre, altrettanto abbarbicate e inestricabili. La vita che realizziamo nel mondo è ricca di duplicità, cioè non possiamo non accorgerci delle apparenze che manipoliamo, dei ruoli che siamo costretti a giocare. Molti allevano in loro questa tabe [malattia degenativa, marciume, n.d.qb] e sono quindi esseri doppi, giani che in qualunque momento possono girare l’altro lato della maschera. Per fare questo hanno bisogno di nascondere il loro vero volto… Eppure anche loro hanno dentro una inquieta consapevolezza dell’assenza; in fondo, non sono contenti, ed è così che quasi sempre scaricano sugli altri la propria attenzione e le proprie disillusioni. Ma i possessi che conseguiranno, alla fine, davanti alla morte, non potranno restituire il condensato di un veramente vissuto, e si accorgeranno di avere inseguito fantasmi di ogni genere, pietosi rifacimenti della realtà.”
[dal secondo numero di Nega-Zine, 2018, edizioni Anarchismo]

 

XXX

“Certo, interpretare il mondo di oggi, questo baraccone luminoso di tecnologia immanente, non è facile; sviscerare in maniera critica ciò da cui quotidianamente dipende la nostra sopravvivenza mette angoscia; il rilevare la quantità enorme di protesi tecnologiche di cui abbisogna la nostra esistenza inibisce non poco il desiderio di disfarsene. Eppure la libertà senza auto-nomia rimane una presunzione vuota. Così come vuota è l’autonomia incapace di darsi una pratica. Ma la pratica, nel suo compiersi, premette la conoscenza e l’interpretazione. Quindi, anche se faticoso, uno sforzo in questo senso pensiamo sia necessario.”

[da SENZA DI NOI. Sulla tecnologia, le sue evoluzioni e le sue implicazioni sul vivente. Sull'apparenza. Sull'eugenetica e il controllo. Dei cavalli di troia, delle cassandre. E anche di quello che non si dice., 2008, Kinesis, Varese, autoproduzione]

 

XXX

Qui sotto uno sfogo-spunto, per il superamento di alcuni incagli ideologici,

invitando ad una riflessione profonda e che sia intersezionale,

cui solo forme di organizzazione diretta potranno tornare a dare un senso…

 

Come avesse dovuto farsi tempo di guerra, la morte, prima nascosta, silenziata e rimossa, è divenuta improvvisamente protagonista indiscussa di ogni notiziario e di ogni decreto di governo. Nell’arco inedito di questa sua annunciazione, coloro che ne sono stati fatti spettatori hanno per lo più finito per acconsentire ad un’ennesima narrazione della propria singolare “impotenza”, usata stavolta per corroborare la falsa necessità (*) di delegare le proprie vite a palliativi normativi generalisti e confusi, astratti e manipolabili, i quali purtroppo, insinuandosi in questi due anni attraverso il nuovo conio del principio delatorio votato al debellamento fisico-sanitario, ma anche sociale e in ambito comunicativo, di potenziali “untori”, o quello anche più esplicitamente moralista che si pone contro “gli egoisti”, delazione e moralismo dunque, che anche se -apparentemente- prive di argomentazioni derivative da demagogia anti-degrado, hanno ricalcato niente più che la presunzione di una sicurezza “nazionale” e “globale”(altro universale ciclicamente misconosciuto) mantenendosi nel concreto per lo più ben distanti da possibilità più spontanee e mutualistiche di una reale responsabilizzazione, intesa come rivendicazione di autonomia dei singoli entro i propri rapporti di prossimità;

nella riduzione a spettatori, invece, purtroppo più presi dal terrore nei confronti dei bollettini quotidiani che presi da una riflessione sulla presenza della morte stessa già nell’ineluttabilità degli ingranaggi in cui si trova ogni quotidiano divenire “civile”, con tuttx i benefici che comporta (potremo mai rinunciarci?) o venga resa da condizione di privazioni sistemiche, del tutto pregresse all’ultimo virus Sars, e del resto, vige un’accettazione indifferente di come dalla morte stessa si tragga più o meno direttamente un valore produttivo che a sua volta andrà a comporre il valore attribuibile alla propria personalità sociale. E quindi, non si capisce come una sensibilità che voglia definirsi tale abbia smesso di ragionare (posto che lo si facesse) di come quella morte benedetta dal sovraffollamento delocalizzato, quasi un fattore residuo del processo evolutivo, non fosse affatto assente nelle progettualità ingegneristiche dell’eliminazione di forme di vita minorate, subalternità etniche o di specie, tacciate di non essere influenti, di non servire o di poter servire come trasformati industriali, eliminatx dal senso di un patire comune pur di fare spazio a sé, o meglio, al profitto per sé (confuso sì il profitto con l’io, ma che non lo sostanzia mica, molto più banalmente: lo rende complice).

[nota * : sulla falsa necessità di delegare le proprie vite, questa si rende impostura proprio attaverso la sua pretesa logicità, sillogisticamente prescritta, ossia procedendo dall’universale quale conforme e naturalizzato concetto di cittadinanza, fino ad i particolari che ne compongono l’insieme, soggettività senza valore fuori di quello ed il cui valore entro dell’insieme viene definito secondo un interesse che li precede e li eccede a tal punto che anche nella manifestazione dei propri bisogni gli individui risultano impossibilitati a non identificarsi nella categoria di massa che li accomunerebbe, in un ulteriore rimosso, che con la morte ha ben a che fare, ossia le differenze di privilegio.]

Questo ciclo di alienazione soggettiva e di oggettivazione delle esistenze attraverso le quali ci si vorrebbe affermare rispetto alla cultura dominante, un’esistenza insomma formalizzata, omologata e omologante, senza la quale non si vede significato se non indotto, spesso concatenato agli stessi meccanismi che del significato se ne appropriano per frne nuova merce, la si chiama “normalità”. Un mondo strizzato in un gioco di specchi giuridici e proiezioni della tecnica, arnesi che non hanno però poi tanto significativamente ampliato quelli che erano i limiti nella concezione prerinascimentale di costrutto simbolico circolare, rimanendo per giunta nel solco di cinte murarie, anche se elettrificate. Un uroboro lasciato in pasto a se stesso. Si trae dunque una sorta di recondita ipocrisia connaturata alla società “normale” in cui ci ritroviamo, fin’ora fondatasi su contrappunti retorici utili al reindirizzamento delle soggettività devianti verso un disciplinamento indotto (e nel plauso perfino, quando non nella distrazione generale): contrappunti retorici quali quelli che si ricalcano su”cedimento o esclusione”, “sacrificio o tortura”, pressoché sempre primariamente stabiliti sulla pelle del più “debole” di turno, a secondo di quanto qualunque cosa potesse significare questa categoria, questa potesse venire strumentalizzata per il profitto di pochi. Il virus ha portato un ribaltamento, non tanto nel senso di eguaglianza davanti alla malattia (perché quello non lo si è mai, per quanti standard d’intervento assistenziale potranno venire calcolati), bensì per quello che viene trasmesso dagli schermi televisivi. È sembrato per un attimo che la morte smettesse di venir colta, dalle istituzioni dominanti, come il tradizionale “bene comune” che da questa fino ad oggi si possono vantare aver conseguito.

Tale “bene comune” non è che emanazione allora di un “progresso neoliberale”, se si voglia usare una terminologia più esplicita.

Per ritrovare qualche riferimento che ci aiuti a non perderci tocca allora probabilmente uscire dal campo di costruzione tanto retorica che di appannaggio strettamente sociopolitico, il quale si è arrogato un po’ troppo l’esclusiva di un’amministrazione della vita pubblica. Tocca scavare. Emerge quanto stia nella paura popolare, piuttosto che nella ragione di cui il volgo è mantenuto privo, il principio di innesto sociale di gran parte dei palliativi normativi, nonché del suo corrispettivo conformismo culturale, che nel poggiare su costruzioni di stigma distaccate dalla concretezza individuale, procece all’accusa delatoria, all’ipocrisia borghese che come un tarlo nell’inconscio coglie anche chi non abbia davvero nulla da guadagnarci. Tutto in nome di una presunta sicurezza “nazionale” e “globale”, precedente immaginario di molte crisi. Nella nostalgia della “normalità”, la paralisi che ha colpito una non meglio concepita “cittadinanza” ha ottenuto di alimentare il delirio narrativo costruito sulla propria impotenza, o non-indipendenza.

Tanto dal lato delle teorie del complotto di ultima generazione, quanto nel riporre speranza in false promesse gestionali e di nuovi boom economici, ci voleva una pandemia perché la morte iniziasse a venire presa in considerazione nel suo rapporto con i luoghi, i tempi e i modi dell’organizzazione sociale che contraddistingue il concetto comune di “benessere”. 

Nonostante però sia sorta qua e là anche un’attenzione alla disfatta del sistema sanitario, l’opinione pubblica sembra rimasta ben lungi dalla presa di coscienza di quanto questo, come ogni conquista del welfare pubblico, non possa prescindere nel suo funzionamento, men che meno nel momento del collasso, da un intrico di causalità corruttibili concomitanti, che perseverano, fino a farsi strutturalmente decretate, verso un futuro sempre più pervaso da elementi che eccederanno il nostro campo d’azione, e quindi anche la possibilità di rimedio agli errori da ricaduta macroscopica, elementi insomma che (tangibili o meno che siano dagli istogrammi statistici) vanno a sommarsi in nuove forme di”malattia”.

Ma di questo non è dato ancora dibattere, in una sorta di auto-limitazione dell’evolvere di argomentazioni che possano emanciparsi da costrutti fideistici di verità assoluta (diciamo pure medioevale, però “i reazionari sono sempre gli altri”) resi infine (nuovamente), e con mero linguaggio e retorica politica, mica , quali “indiscutibili”. Dietro a questa retorica aizzata, più che un dibattito metodologicamente scientifico sembra di poter riscontrare il pantano della mistificazione. Non si vede in effetti all’orizzonte della militanza di area marxista, con la quale si condivide pure tanto in termini di conflitto, alcun rovesciamento dell’imperscrutabilità interpretativa dei dati, né di quel conflitto storico che si lasci aggiornare a nuove possibilità di espropriazione proletaria di questi dati e dell’amministrazione delle proprie vite, riscattandole dalle dichiarazioni di coloro che campano del profitto su queste. La divisione specialistica dello sfruttamento lavorativo resta ben salda, tantomeno si crede espletabile una raccolta di valutazioni dirette e dal basso sulla gestione di sé e dei propri rapporti sociali.

Non sembra poi darsi alcun rigore minimamente scientifico nemmeno mentre se ne difende il metodo, senza a volte rendersi conto che la propaganda di un governo è una cosa, la ricerca di laboratorio un’altra. In questo ostinato limitarsi a sovrapporre l’approccio rigidamente dualista di moda al momento, all’esistenza stessa, forse per uno strenuo tentativo di fuggire alla complessità dinamica di questa, gli ultimi decenni di controinformazione rivoluzionaria e insurrezionale sono stati così ridicolmente gettati in quella che, traspare (e finalmente si è rivelata per quello che è), è in procinto di stabilirsi non più come una dialettica delle forze produttive nella scelta consapevole dei propri mezzi e dei propri obiettivi, bensì in una contrapposizione politica ormai naturalizzata della società attuale, questa polemòs archetipica tragicamente immutabile tra negazionismi vicendevoli: o stai col “progresso!”, o con la “reazione!”.

Davanti a un simile binarismo, calato in quel che si taccia come un “noi” perduto, possiamo solo suggerire un semplicissimo MA ANCHE NO verso entrmbe le accuse, procedendo oltre… E scusassero se abbiamo finito le lacrime.

Il disorientamento operato e riflesso che riscontriamo quotidianamente nella sterilità, già intrinseca al mezzo comunicativo, dei dibattiti meramente virtualizzati, o nell’insulto su metodo di ricerca e valutazione quando i risultati confrontati non siano congruenti: anziché quind confrontare appunto “metodo, fonti e risultati” tanto benedetti rispetto alle proprie prospettive di sopravvivenza. Questo possibile approccio, certo non incendiario, ma pur sempre un modo sano di non lasciare la propria conoscenza delle condizioni in cui riversiamo in mano alle classi dirigenti, è stato invece scartato per la strenua e quanto mai infame ricerca pseudo-proletaria di educare “una gran massa di ignoranti” (contro cui allo stesso tempo si lascia veicolare le frustrazioni del momento), tramite le medesime rassicurazioni della ricerca appositamente selezionate dalle potenze finanziarie che amministrano oculatamente la precarietà delle nostre vite. Il distacco da queste prospettive, ossia l’assumere rivendicazioni proprie, senza manco troppa consultazione di esperti del settore, sta venendo sempre più trattato, persino da chi parla di lotta antipadronale, come materia politica da gogna. Simile moralismo probatorio-processuale, per quanto grottesco, ricalca pericolosamente la maniera delle imposture giudiziarie, e sempre tornare a traferire il concetto di “decoro” prima affibbiato nei meandri urbani, alle possibilità del pensiero analitico. 

Lo scontro che ci si presenta come sociopolitico mentre si pretenderebbe ontologico e giustiziere insieme, come in un armageddon finale, quello tra progresso o reazione, ha in effetti perso parecchia della sua integrità pratica, e forse non andrebbe preso sul serio ormai che come poco più che un problema meramente ermeneutico. Lo spirito rivoluzionario che rimane a questo tempo non riferisce d’altronde più molto altro di sé che il permearsi di un capitalismo ideologico, ormai secolarizzatosi su quello materiale. Ma ciò che invece a noi preme qui osservare, e che ancora si manifesta come bisogno di sollevazione, pur senza tante illusioni, è il dramma del coinvolgimento sempre più capillare e interiorizzato delle forme del dilagare del capitalismo rispetto al disorientamento di prospettive del vivente, senza farne una distinzione di specie quando si assume l’eliminazione di alcuni a beneficio di altri, generalmente più potenti. 

Per questi motivi, alla notizia della “pandemia” e dell’emergenza fattane, non potevamo che rinnovare l’invito a chiederci: chi è il virus? O meglio, cosa ha significato la sindemia per noi e come non prendere parte alla guerra del sistema per il mantenimento di se stesso: cosa è la morte per noi, con quali mezzi si diffonde la morte, come possiamo contrastarla e in che senso vogliamo approcciarci alla cura… E come coltivare questo approccio reciprocamente.

E questo anche per riscattarci da un’atrofizzazione dilangante nell’immaginario comune di tematiche complesse quale è “la salute” in questioni di mera sopravvivenza biologica d’urto, concetti positivisticamente e burocraticamente ridotti, continuando a risultare con ciò banalmente funzionali alla conservazione ipocrita di apparati classisti. 

Ecco allora certo, ciò che ci divide: mentre alcunx hanno introiettato pienamente la mentalità unitaria e paternalistica scambiandola per il diritto all’accesso ospedaliero, noi non abbiamo dimenticato di non essere affatto tuttx sulla stessa barca. 

Quello di cui ci è toccato prendere atto, e con rammarico, è che l’approccio dei primi ha fatto emergere nella coscienza di molti compagni, come in quella normalizzata cioè plasmata dalle norme, un consolidamento del principio statale di obiettività ordinatrice, dal manto rieducativo o meno, nell’applicazione di strumenti repressivi. Questi ultimi sono tali da colpire non più solo sui piani rivendicativo, giuridico, fisico e psicologico, bensì ormai efficacemente (ed il green-pass ne è stato un banco di prova) sul piano culturale. 

Calandosi nel reale, sostenere degli obblighi, quantunque efficaci e funzionali alla preservazione di questo sistema ben prima che in un aleatorio rispetto dei più deboli, significa schierarsi con le forze armate, con il calcolo imprenditoriale e con la demagogia patriarcale di Stato, come se i loro interessi potessero corrispondere al rispetto di noi stessx e delle “categorie fragili”. L’ostracizzazione del “dissenso” in quanto tale, o in quanto percepito come delirante, e appunto per quanto delirante, e per quanto quella dipinta come male minore e prioritario per la salute reciproca, non porta che al rafforzamento di misure coatte, se non persino ad una “psichiatrizzazione, nel dibattito sociale, delle attitudini recalcitranti, fino allo stabilizzarsi di un ampio consenso sulla coercizione sanitaria, abbandonando la contestualizzazione diretta di molteplici istanze. Questo processo porta purtroppo, nell’opinione comune ma anche nelle pratiche condivise, alla soppressione di quelle stesse potenzialità riorganizzative che desiderino dedicarsi ad una sussistenza che non si lasci sovradeterminare; che non si esauriscano nello sguardo sul mondo in una dipendenza insormontabile dai tecnicismi; che non si immedesimino acriticamente nella retorica pubblicistica di sempre più intrusive implementazioni per l’efficienza produttiva e di controllo; che non siano disposte a misconoscere i propri bisogni diretti, né a temere percorsi di indipendenza da megalo-meccanismi. 

Quella che ormai spesso viene distorta come “reazione” a tutto ciò, confusa dalle allerte di certo antifascismo inariditosi dietro all’ennesimo recupero del potere costituito del concetto di “bene comune”  e di tanti altri termini di cui sembra ahiloro sempre più vano avere esperienza diretta (questa misconosciuta), in quanto ormai decretati dal dibattito mainstraim alla funzione usa e getta che risulta di volta in volta più comoda, in un ribaltamento semantico insito nella propaganda (perchè ancora di propaganda si può parlare) che insiste a definire lo stato delle nostre fotture esistenze a prescindere dalle rivendicazioni, dal contesto e dalla storia degli ultimi. Invece no, chi pone “dubbi” è all’oggi sicuramente cripto-fascista, come poi se non lo sapessimo (leggasi “facessimo pure noi”) già che condizioni discriminatorie, coercitive e in qualche modo oppressive potessero venire assimilate a quello di “privazione di libertà”. O no?

Si tratta piuttosto semplicemente di mantenere coscienza di come questo delicato passaggio storico stia portando a compimento irreversibile la pianificazione urbanistica, modelli gentrificatori, infrastrutture logistiche ad alto impatto ambientale, il culto sfrenato della merce, ai quali si sono aggiunte soluzioni ignegneristiche energivore vendute come ecologiche e di cui non si ha percezione, come l’investimento in modificazioni nanometrica dei materiali, fino alla più banalizzata conversione digitale dei rapporti in sempre più ambiti comunicativi. I tentativi dal basso, ormai resi “irrazionali”, di fare analisi e di agire per non rimanere annicchilitx da questi processi, quando non definitamente eliminatx, sono forse stati abbandonati da chi li sosteneva solidarmente, o non sono forse stati compresi appieno? Non hanno forse a che fare con la salute collettiva? 

L’accanimento pieno di pregiudizi sul disorientamento informativo, sociale, politico e personale, ma che su questo disorientamento si alimenta, non è forse allora che il riflesso frustrato di un rifiuto interiore ad affrontare il presente con le proprie armi, ognunx a se stessx ed alle contraddizioni entro cui fin’ora s’è lasciatx incarnare. 

Il miracolo che tutti pare in tantx si attendono vigilmente dalle misure inquisitorie postmoderne è la scomparsa della morte dal discorso pubblico, il suo ritorno all’isolamento e alla riservatezza delle sale di rianimazione, dalle quali  non sembra poter uscire al confronto tra comuni mortali una benché minima considerazione dei limiti intrinsechi al progresso di una crescente automazione tecnologica,  e negli hospice, dove l’anziano non possa tornare a costituire un problema per la frenesia urbana e per i rimasugli di sovvenzioni assistenziali.. 

Pertanto, ci siamo domandatx semmai quali fossero le intersezioni sindemiche del virus su cui potevamo agire, e come autodeterminare un percorso di maggior consapevolezza a riguardo. 

Rifiutiamo, al contrario, un’assimilazione passiva delle nostre esistenze all’avanzamento liberale, ordo o locale che sia, sempre su matrice coloniale si è eretto e che coloniale continua a rivelarsi. 

E rifiutiamo pure molto serenamente di applicare o subire il moralismo che esso sparge come un’esalazione velenosa, tanto più in quanto quant’ultimo si rivela intrinsecamente sbirresco, inneggiante al paternalismo sanzionatorio e previdenziale istituzionale, in questa strana illusione di un alveo (fortuna limitato) post-movimentista, perché evidentemente le lotte non erano già abbastanze soffocato dal procedere classista-amministrativo e penalistico-carcerario, di poter trovare la propria coerenza emancipatoria nell’accettazione di fatto acritica delle procedure statali. 

Nel promuovere l’inevitabilità di rimettere le proprie sorti in mano alle opere di governo troviamo un sintomo di resa definitiva ai principi di un progresso che si pone fin dai suoi albori quale irrefrenabile, che ora, nell’avanzamento sperimentale biotecnologico, di derivazione eugenetica devastatrice e securitaria insieme, checché non lo si voglia di riconoscere profondamente monopolistica e colonizzatrice, si picca di trovare le soluzioni ai suoi disastri: dallo sradicamento e genocidio di popolazioni indigene fino allo spargimento risolutivo di fattori microbiologici quale le percentuali di inquinamento persistente riscontrabili in ormai ogni cosa che respiriamo, mangiamo, beviamo.

Restiamo apertx ad un confronto vivo, che negli scazzi quanto nel supporto vis a vis trovi il suo concreto margine d’intesa, un tipo di scambio facilmente squalificabile dalla comunicazione mainstream ed in termini di massa o popolazione, in quanto non accettiamo di prestarci ad essere recuperatx da qualche forma di riduzione positivistica e burocratica, men che meno di poggiare sul principio del controllo, o del ricatto sociale, al contrario rinnovando la nostra opposizione schietta al suo propagarsi in modo sempre più capillare, tanto dal punto di vista prettamente demografico quanto in chiave ermeneutica, pertanto anche politica, e psicologica insieme, con ricadute in ambiti tossicologici e psichiatrizzanti, come si rileva dallo stato di sofferenza in tal senso in cui moltx di noi riversano..

In sintesi, niente su di noi, sopra di noi.

Mentre le autorità non potrebbero succedersi se non negando la concatenazione storica senza posa di morti accidentalmente provocate entro una funzione conservatrice delle dinamiche di potere istituite via via, e mentre si dedicano all’annientamento di qualsiasi esistenza non rientri in parametri e confini di domesticazione ai meccanismi strutturali grottescamente paternalisti e patriarcali tramite i quasi esse si espandono ipertroficamente, mentre insomma pretendono estrarre valore dalle masse popolari tramite l’impostura dei principi di efficienza e funzionalità plasmabile, così nella trita ragion Stato, come nel reset d’impresa 4.0, ci sembra di intravedere le ultime potenzialità di conflitto nella presa di coscienza della condizione postmoderna di rimozione continua di sé, delle proprie sofferenze personali, delle lotte politiche sconfitte o recuperate, di riduzione al meramente condizionato, alla dipendenza totale dalla merce, alla resa alle sue leggi come alla derivazione passiva, in null’altro che il riflesso di articolate cooptazioni demagogiche, di pestilenze industriali nanometriche, di economie che continuano senza freni a negare lo sfruttamento umano, animale, della terra. 

Se c’è qualcosa che ancora ci resta, in una sempre più pervasiva espropriazione e strumentalizzazione dei nostri bisogni, sta all’opposto di queste, una ormai flebile ma inesauribile determinazione a negare le autorità ed ogni influenza che si arrogano di poter diffondere sulle nostre vite.

 

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“L’unica cosa che potremmo fare è essere contenti e beati della nostra situazione. Non la situazione terminale dei sanatori, non la situazione estrema delle miniere, non la situazione di sfruttamento occhiuto delle quattordici ore lavorative, ma una situazione del tutto accettabile. 
In altre parole, la catena che stanno costruendo potrebbe essere una catena dorata, abbastanza comoda da consentire molti movimenti e, a lungo andare, con la catena ai piedi, potremmo pensare che stiamo camminando grazie alla catena, non malgrado la catena, e nel momento in cui pensiamo che stiamo camminando grazie alla catena il cerchio si è chiuso, siamo definitivamente ridotti allo stato di schiavitù. Ad un tipo di schiavitù senza rimedio.  Ecco perché è necessaria la ribellione oggi ed ecco perché è necessaria la distruzione oggi.”
[da Dominio e RIvolta, Alfredo Bonanno]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Posted in General

A Paolo Ranieri

Posted on 2021/12/25 - 2022/01/09 by la scintilla
E’ venuto a mancare oggi un compagno che ne ha viste tante.. uno che -a differenza di molti sinistri che si lasciano andare agli imbrogli della mera teoria volatile o imbrigliare nella riesumazione di un autocompatimento commemorativo, distaccandosi perciò inesorabilmente dall’insorgere quotidiano- non ha lesinato continuare a cercare di essere presente.. e questo nonostante avesse la possibilità di nascondersi dietro la rendita del suo contributo a vecchie rivendicazioni.
.
Traspare insomma, e parecchio già attraverso chi lo ha accompagnato nei sentieri meno battuti, quanto egli abbia scelto di esprimere -ancora da sé- la propria critica, di raccontare l’impossibile nell’allerta contro qualche ostacolo qua e là incrociato, come testimonianza diretta a coloro che sarebbero passati in seguito; un modo di contribuire ad ovviare agli errori, rovesciandoli, detournandoli..
Perché nessuno di quegli ostacoli finisca a trasformarsi più, nelle tenebre della coscienza, nei pericoli tramite cui la Storia ci mette all’angolo. In pratica, per una società più giusta.
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Fuor di astrazione simbolica, gli obiettivi di approccio rivoluzionario a volte sono molto più semplici da raggiungere che il sopportare quel che si crede e quel che s’impone: qualcosa che forse lui sapeva, e di cui vale la pena rendersi presto conto. Che la terra gli sia lieve.
.
Condoglianze ai suoi compagni di una vita.
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Ⓐ
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Di seguito, qualche suo vecchio contributo recuperabile in raccolte internet di scritti politici e comunicati di lotta.

 

  • http://www.ecn.org/filiarmonici/ranieri.html
Introduzione alla seconda edizione dell’autobiografia di Horst, Ormai è fatta (2003, Torino, Nautilus / El Paso).
“[…] Il presente appare sempre tale agli adoratori dell’ovvio, per poter meglio essere rimpianto quando sarà finalmente divenuto passato – e d’altronde divenire passato non è la vocazione più profonda del presente non vissuto? […] A qual pro conoscere i fatti, le persone, se lì [riferito agli archivi delle procure e di cronaca giornalistica] stanno già, condensati, eventi e personaggi? Se, come avverte Benjamin, i proletari, con la rivoluzione, prima che del proprio futuro, hanno necessità di riprendere possesso del proprio passato, è indispensabile, a tal fine, essere coscienti che tale possesso va innanzi tutto conteso e sottratto alle istituzioni che vi presiedono, la legge e la stampa, solidali nell’imprigionare la nostra memoria e nell’archiviare e salvaguardare unicamente le tracce della nostra prigionia. […]
Il personaggio, troppo a lungo intrattenuto, finisce sempre per degradarsi definitivamente in macchietta. E’ a questo punto che può dirsi raggiunto l’obiettivo, perseguito, a ogni costo, da così tanti mentitori concordi: celare, elidere, oscurare, minimizzare e ridicolizzare la coerenza e l’esemplarità della vita di questo compagno. E’ dal fondo di quest’abisso di luoghi comuni che paralizzano e ottundono, che la ripubblicazione di questo libro deve prendere le mosse, per riafferrare la vicenda, lineare ed eloquente, di un uomo che ha voluto essere libero immediatamente, senza attendere che il partito lo conducesse o che le masse lo seguissero; che, agendo secondo questi criteri, ha anticipato con i propri atti un grande movimento di liberazione individuale praticata collettivamente; che ha voluto scegliere il proprio destino fino alla fine.
Autenticamente proletario, e quindi acutamente cosciente della propria estraneità alle ragioni che muovono questo mondo, Horst non stava bene né in carcere né fuori dal carcere, e continuamente confrontava queste due condizioni, riconoscendone la sostanziale omogeneità e complementarità. Benché avesse lavorato per così poco tempo in cambio di un salario, non cessa mai di considerarsi un operaio, né quando rapinava, né quando poi fu carcerato; un’attitudine che certo apparirà sorprendente al giorno d’oggi, quando neppure chi attende alle ultime catene di montaggio si percepisce più come operaio. Ma di volta in volta come cittadino, lavoratore, tecnico, produttore, e così via. […]
Quanti, soprattutto negli anni immediatamente successivi, furono quelli che percorsero la medesima strada di Horst? La strada di un operaio povero, insofferente alla disciplina e alla sottomissione, che sceglie di fare davvero quel che tantissimi pensano di fare, e solo alcuni fanno davvero: di andare a rubare piuttosto che continuare ad obbedire. […]”

 

  • Ludd ovvero dell’insurrezione permanente.
Articolo su La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018
“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.
[Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere. Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:]
“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.
[La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.

 

  • http://www.nelvento.net/critica/paolo.php
Trascrizione di un’intervista a Paolo Ranieri realizzata da alcuni compagni per il film “Bombe sangue capitale”, sulla strage di piazza Fontana e la Milano del 1969.
“… Uno dei portati del dopo Piazza Fontana è la scoperta della possibilità di convertire la militanza rivoluzionaria in carriera, attraverso le infinite maniere di rispondere a quest’attacco, nascono proprio le professioni della sinistra, nasce la figura di quello che hafatto il ’68, cioè nasce il controgiornalismo, che rapidamente si converte poi in giornalismo ufficiale; nasce la controinchiesta giudiziaria, che porta poi chi a diventare giudice chi a diventare poliziotto, chi a diventare giornalista giudiziario, chi comunque a diventare specialista e specialista retribuito. Quella che era anche al di là della consapevolezza, che per molti aspetti era ancora turbinosa, confusa, cioè tutti i soggetti coinvolti in quella fase che va dal ’67 al ’68-69 sono persone giovanissime, in una maniera che il movimento di oggi non riesce sostanzialmente nemmeno a figurarsi, comunque era una battaglia contro il lavoro, contro la normalità, contro la strutturazione sociale. Rapidissimamente attorno alla difesa contro le bombe, contro il fascismo e così via si converte in nuovi lavori, in una nuova dimensione politica, in una nuova istituzionalizzazione sia formale che sostanziale. Rapidamente tutti coloro che prima cercavano di allontanarsi dalla normalità in qualche maniera vengono richiamati a fare il loro dovere. In definitiva, il messaggio – non so quanto le bombe lo volessero dare – ma il messaggio che è stato recepito è che bisognasse mettere – come già allora si diceva – la testa a partito. Occorreva che ciascuno tornasse a fare il lavoro politico, tornasse a fare il proprio dovere, in definitiva a chinare la testa e a farla chinare agli altri. In questo senso tutti gli anni Settanta nascono sotto questa luce mortifera, alla quale si intenderà in mille modi di opporre resistenza, ma che alla fine travolgerà tutto quanto nella divaricazione tra quella che è la dimensione lottarmatista e quella che è invece la dimensione della normalizzazione. Da questo punto di vista liberarsi da questa dimensione è un’urgenza che non è ancora stata completamente risolta, nella quale ci troviamo ancora per molti aspetti a dibatterci oggi, a distanza di così tanti anni. …
Poco prima delle bombe – credo nell’ottobre del ’69 – la polizia aveva ucciso un ragazzo a Pisa, che si chiamava Pardini, c’era stata una grande manifestazione e noi già allora avevamo fato un attacco molto violento contro la gestione burocratica, in particolare dell’Università Statale, facendo un volantino in cui c’era appunto la frase: «Studente, di rosso ti è rimasto unicamente il bracciale da poliziotto», e che ovviamente aveva creato dei grossi dissapori con noi di Ludd, altri amici, tra cui molti personaggi che poi saranno inquisiti o saranno portati in Questura dopo le bombe, cioè proprio quell’ambito dove l’inchiesta cercò di andare a colpire. Tra l’altro si può dire che, in effetti, la distribuzione del volantino dei situazionisti Il Reichstag brucia? dopo il 12 dicembre è uno degli ultimissimi momenti in cui la Statale è ancora agibile per chi non faccia atto di sottomissione verso i leader maoisti e stalinisti. Proprio in quei primissimi giorni dopo le bombe è uno degli ultimi momenti in cui il movimento si percepisce ancora come una realtà non totalmente asservita e piegata alla dimensione ideologica. Poi, per tanti motivi, appunto per il clima generale che si era creato per l’influsso, da principio sotterraneo e poi crescente del Partito comunista e dei sindacati, che creano un rapporto privilegiato con questi gruppi cosiddetti extraparlamentari, rapidamente si arriva a una forma di normalizzazione. … 
Piazza Fontana è praticamente il momento in cui tutta una serie di forze che andavano liberamente montando su un modello che avevamo sperimentato l’anno prima – noi felicemente i nostri nemici con vero e proprio terrore col Maggio francese –, cioè la possibilità di una rivoluzione individuale praticata collettivamente e che quindi sorpassava la dimensione della violenza, la rendeva inutile, inattuale, marginale rispetto alla forza dispiegata di queste infinite soggettività che s’incrociavano e interagivano e che in Italia stava cominciando a muoversi sugli stessi temi, questa dimensione viene bloccata e congelata, e riappaiono tutti i tipi di specialismi, di carrierismi. L’ideologia diviene arma e l’arma diviene ideologia. In questo senso si può notare che di tutta la vicenda così com’è stata organizzata dalle forze dello Stato, della NATO, che stanno dietro coloro che hanno messo le bombe e hanno studiato la maniera di gestirle e che hanno mostrato indubbiamente notevoli dosi di incapacità, di inettitudine e di leggerezza, l’aspetto però che è significativo è che il gruppo dei capri espiatori, da Valpreda agli altri, viene scelto – evidentemente attraverso un lavoro di intelligence durato mesi e mesi – avendo come centro il gruppo di quelle persone che avevano creato il grande scandalo al congresso anarchico di Carrara dell’anno precedente, in cui era intervenuto Cohn-Bendit reduce freschissimo dalle vicende del Maggio, e che avevano posto la questione di portare i temi del Maggio anche in Italia. Il fatto che questo passaggio fosse stato individuato come un momento da far saltare e da criminalizzare indica che pur nella trivialità del progetto delle bombe esisteva comunque anche una certa dose di lungimiranza.
E in effetti, occorre riconoscere che se un progetto è rimasto poi bloccato e congelato attraverso l’intreccio degli opposti specialismi e ideologie che è esploso dopo la bomba, è stato proprio il progetto di una rivoluzione della vita quotidiana così come il Maggio ce l’aveva in qualche maniera prospettata e alla quale tante persone stavano, con diversi gradi di consapevolezza, concorrendo fino a quel momento.”

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lunedì 27 dicembre 2021 – SE PROPRIO C’E’ QUALCOSA DA SALVARE, STA NELLE CONTROCULTURE!

Posted on 2021/12/16 - 2021/12/26 by la scintilla

NON è IL NATALE, NON L’ECONOMIA,
NON LO SFRUTTAMENTO..

 

LUNEDì 27 DALLE ORE 18:00

 

  • LABORATORIO SFRASTICO di dolci Antispecisti * vieni presto, non mordiam *

+ CENA BELLAVITA.. * porta gli ortaggi o la ricicla che vorresti trovare *

 

SCONCERTO LIVE :

  • BAM BOX ORCHESTRA  

garage sporco // prim’orda punk  [ Napol-hell paranza, Vesuvio ]

 

Ingresso non richiesto! ma up to you se possibile, per sostenere la nostra distro irata e nuovamente germinale, LA PESTIFERA.

In serata ci saranno ristampe varie della vecchia tra cui Ricette per il chaos, Lo Squat dalla A alla Z, Manuale di autodifesa femminista,… e numerosi testi di contro-analisi sull’attuale governance pandemica no/sì/whattaf*ck.

 

 

PROIEZIONI AL LENZUOLO:

rassegna docu-film da scegliere insieme tra i seguenti ..o tra quel che ci salta in mente sul momento.

 

  • On activist research and critical knowledge production

(2017, audio in spagnolo ma sottotitolato da noi in italiano; docu-interviste a cura di un nodo madrileño di SqEK, Squatting Europe Kollective, progetto internazionalista nato nel 2009 con il proposito di raccogliere materiale autocritico e di propaganda sulle pratiche di autogestione in chiave di resistenza all’avanzamento del sistema capitalistico).

Perché occupare?
Mentre la mancanza di casa è in aumento ovunque, la produzione di spazi vuoti sta divenendo una caratteristica strutturale della società contemporanea. Intanto che Stati e mercati falliscono la realizzazione di ogni funzione redistributiva, migliaia di edifici rimangono vuoti, eppure i senzatetto aumentano in Europa e nel mondo. In questo periodo di crisi economica, le persone che hanno deciso di prendere in mano la situazione stanno occupando una pluralità di spazi: industrie abbandonate, teatri vuoti, uffici pubblici dismessi, attività commerciali fallite, ed ovviamente case non assegnate. In questo processo, il concetto di sviluppo e rinnovo urbano, cioè di aggiustamento degli spazi e delle politiche urbane e per la casa è reinterpretato e deviato. In realtà, le occupazioni non sono solo un modo per soddisfare il bisogno di alloggio e per esprimere la mancanza di spazi di socialità, ma sono anche un tentativo di praticare modelli di organizzazione partecipativi non-gerarchici.
Le occupazioni spesso offrono un modo alternativo di vedere le relazioni sociali, le pratiche politiche e lo sviluppo di attività collettive come incontri politici, seminari di autoformazione ed eventi controculturali al di fuori, e in contrasto con i circuiti commerciali. Nel reclamare una dimensione politica, gli attivisti dei centri sociali e gli occupanti di case sono spesso impegnati in più ampie campagne di protesta e movimenti sociali, contro il precariato, la speculazione urbana, il razzismo, il neo-fascismo, la repressione dello stato, la militarizzazione, la guerra, l’utilizzo del territorio contro gli interessi delle popolazioni locali, le riforme che virano ad una aziendalizzazione nel campo educativo e universitario, e alla privatizzazione sanitaria.
La retorica del salvataggio dell’economia dalla crisi riflette la vacuità dell’attuale dibattito politico che fa appello a coesione sociale e auto-responsabilità. Ma proprio nel momento in cui le persone prendono realmente questi valori sul serio, sono spesso trattate come criminali che minacciano l’integrazione sociale. Le risposte accademiche alla crisi attuale sono state ugualmente vacue. Benché molti ricercatori si trovano a dover affrontare l’attacco neo-liberista alle università pubbliche al tempo stesso sono unicamente interessati a ottenere fondi da privati e a produrre conoscenze finalizzate al mercato, altri ancora sembrano più interessati a teorizzare i problemi piuttosto che affrontarli. …
Approcci diversi e temi comuni
Il collettivo SQEK è nato come una rete di ricerca. Il nostro primo scopo quando abbiamo cominciato a incontrarci attraverso una mailing list era quello di cooperare per cominciare una ricerca comparativa sulle occupazioni nelle città europee. Nel gennaio 2009 ci siamo incontrati per la prima volta a Madrid. L’incontro ci ha permesso di condividere le nostre diverse esperienze, le nostre preoccupazioni intellettuali, i nostri argomenti di ricerca e progetti futuri.
Poiché altre persone si sono via via aggiunte al nostro collettivo nell’ottobre 2009 abbiamo tenuto un secondo incontro a Milano, dove abbiamo avuto la possibilità di presentare e discutere diversi casi studio.
… Sebbene quello delle occupazioni sembrerebbe non rappresentare un movimento particolarmente potente, la sua dimensione temporale che supera diverse decadi e la dimensione spaziale sia locale che internazionale sono spesso dimenticate. Siamo quindi consci del bisogno di articolare un approccio che vada dalle specificità delle situazioni locali fino ad una prospettiva internazionale e comparativa. …
[da https://sqek.squat.net/ita-squatting-europe-agenda-di-ricerca-v-1-0/]

 

  • Hobo

(1992, audio in inglese senza sottotitoli; film di John T. Davis sui passi di Beargrease, un clochard che da Minneapolis a Seattle, saltando da un treno merci all’altro, attraversa, forse per fuggirne, la desolazione che era seguita all’entusiasmo della beat generation, nell’abbandono generalizzato di orizzonti giovanili di emancipazione.. ).

  • Gli invisibili

(1988, audio in italiano; film di Squitieri (di cui repelliamo la schizofrenica carriera politica), ma sceneggiato da Nanni Balestrini a partire dal suo omonimo romanzo, narra di Sirio, operaio nelle accaierie a Terni, che a seguito di un percorso di militanza iniziato da studente, tra proteste ed espropri proletari, finisce in regime di alta sicurezza per banda armata).

  • Ormai è fatta

(1999, di Enzo Monteleone, tratto dall’omonimo libro-cronaca di Horst Fantazzini, anarchico gentiluomo, rapinatore di banche per vocazione, pubblicato nel 1976. Il film narra in particolare uno dei suoi proverbiali tentativi di evasione, quando dal carcere di Fossano, per il sequestro di due guardie, rimase gravemente ferito dai proiettili dei cecchini infami. Purtroppo è interpretato da Stefano Accorsi e sicuramente non è un film capace di contestualizzazione storico-politica adeguata, per cui si dovrà lavorare un po’ di immaginazione.. Condannato in totale a 57 anni di reclusione “per avere rubato qualche milione di lire, a fronte dei miliardi in continuazione rubati da presidenti di banche e istituzioni”, Horst muore prima di scontar la pena, a Bologna, il 24 dicembre 2001..

Ma può ancora rivivere.. in ogni banca rapinata.. eh).

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NON è IL NATALE, NON L’ECONOMIA,
NON LO SFRUTTAMENTO!!
SE PROPRIO C’è QUALCOSA DA SALVARE,
STA NELLE CONTROCULTURE.. ⚓
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sabato 18 dicembre 2021 – FUCK THIS CHRISTMAS + PIU’ VELOCE DI BABBO NATALE

Posted on 2021/12/16 - 2021/12/26 by la scintilla
SABATO.. DOPPIO STAGE, DOPPIO PEDALARE..         DALLE 21:00 

>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>           >

 

 

 

 

 

 

 

 

 

🥨 FUCK THIS CHRISTMAS 🍻 >>>

< Acid Brains 🍵
< Demetra’s Scars 🦴
< Tupilak 🎳
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🛒 PIU’ VELOCE DI BABBO NATALE 🛠 >>>

< Dick Dastardly’s <<pesaro 🎠 speed n roll
< Eddie Murphy <<padova 🎡 noisecore
< Mörtaio <<trento 🏗 hc impestato
< Rice Filth <<cuneo 🚧 powerviolence
< Terror Firmer <<modena ⚙️ grindcore
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[ ⚡️ T.A.Z.WARNING: si inizia in fretta e appena finiti i concerti ci si sposta tuttx a qualche km, a sorpresa 🎈 ] <<< RIMANDATA

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martedì 07 dicembre 2021 – WRETCHED CONCEPTION #2

Posted on 2021/12/03 - 2021/12/16 by la scintilla

dalle 19:00 APERIPUNK + 

PROIEZIONE DI TURBONEGRO :the decline of western civilization 

dalle 21:00

*** LYON ESTATES *** old school hc ***
*** ROUGH TOUCH *** hardcore ***
*** HOAX *** crust / dbeat ***
*** THE SEEKER *** powerviolence ***
*** CARLOS DUNGA *** trashcore ***
*** FRACTURE *** hardcore metal ***
*** DARK TENNIS *** post blackmetal ***

dalle 2:00
djset DDJ CETTER

 

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sabato 04 dicembre – MERCATINO MUSICALE

Posted on 2021/12/03 - 2021/12/03 by la scintilla

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venerdì 26 novembre 2021 – MERCATINO MUSICALE

Posted on 2021/11/26 - 2021/12/16 by la scintilla


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sabato 20 novembre 2021 – “DELLE VENDETTE UMANE”

Posted on 2021/11/17 - 2021/11/26 by la scintilla


 

Con la giornata del 20 novembre intendiamo contribuire a sostenere le fuckin’ SPESE LEGALI

conseguite alle condanne inflitte ad alcunx compagnx tra coloro che nel 2014,

presso il campo Sinti di via Erbosa, zona BOLOGNINA ANTIFA, hanno mosso un presidio di protesta contro Salvini e la sua retorica xenofoba..

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Ci si trova in Scintilla dalle 15:00 !!

Ci sarà tempo per il pittaggio dei muri (senza rovinare quelli storici punx dello spazio, pleeeze!) e per del freestyle a microfono aperto.

Spazio libero per distro e autoproduzioni (porta il tuo tavolo, se puoi..)

Per l’open mic si sta già tenendo pronta qualche balotta :

LOST-T

POTTA SAN

PUMA IN DA STREETZ

DOX & PAIN ZERO
卌 reggio emilia UTOPIA crew

GIOIA ARMATA
卌 41029 A.C.A.B. techno-rap

 

dalle 19:00 :

APERICENA BENEFIT #LEGAMERDA

 

dalle 21:00 sul palco :

GAISER – MANA NERO – MALE – KENDO ONE – MAYDA – AVEX – GREVE – DJETTO
卌 bolognina BOILED BRAINS crew

BRAIN
卌 FUOCO NEGLI OCCHI crew

SPIKE – NOR – SOFT
卌 genova pz.alimonda blocco hip-hop OVERMINDZ / EFFEMENTI POISON SQUAD crew

MISTURA MORTALE
卌 bassano del grappa riot e disagio

ADRIA THE REJECT
卌 rap antipsichiatrico costa est

VASHISH & FELCE
卌 bordeline hardcore BLACK LIST crew milano

Ai piatti :

MR. PHIL
卌 makin’ beats dalle borgate degli anni ’90

BOILED MASTER
卌 djset BOILED BRAINS crew

卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌
RISPETTA L’AREA | RISPETTA LA SCENA
卌卌 NO FASCI NO MACHI Sì TRUCI 卌卌
卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌卌

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domenica 14 novembre 2021 – COMPLOTTISTA E’ LO STATO…

Posted on 2021/11/10 - 2021/12/26 by la scintilla

LA PANDEMIA COME CATALIZZATORE DI RINNOVATI MODELLI REPRESSIVI E DISCRIMINATORI :

questa domenica, 14 novembre, alle 17:00, vi invitiamo al dibattito insieme a Stefano Boni, compagno e docente di Antropologia,

partendo dall’analisi di ciò che nell’ultimo anno e mezzo abbiamo vissuto quale governance emergenziale,

fino a quella dei più recenti paradigmi tecno-scientifici adottati.

#cederunpeucestcapitulerbeaucoup [ Parigi, 1968 ]

A seguire, (a)pericena di stagione dell’Osteria Vegana +

.

🎭 Spettacolino a cappello di e con Cinzia e Simone, dal Prinz Eugen, storica occupazione torinese:

” VERMI INERMI “  drammento grottesco orecchiabile  (teatro semplice-,teatro clandestino,teatro necessario)

.
.
🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧🚧

SOLIDARIETÀ AX COMPAGNX DI SARONNO

.

*** CHE HANNO SUBITO PERQUISIZIONI ***

finalizzate al sequestro della rete informatica

di contatto tra anarchici e movimento novax

(ahahaahahahahahahahahahahahahahahahahah).

🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥🛢️💥

.

: COMPLOTTISTA È LO STATO… non siamo “novax”…

-IL NOSTRO ANTIFASCISMO È ANTIAUTORITARISMO-

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sabato 6 novembre 2021 – LA SCINTILLA punk hardcore

Posted on 2021/11/03 - 2021/11/26 by la scintilla

dalle 18

 

RIOT SQUAD rock’n’raw tribute hc

NOWHERE BOYS 1312 punk and punch

SMASH BACTERIA veneto sbarbipunk

METHEDRINE heavy-speed vecchie-ossa

BAD NASTY ’80 french street punk

 

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