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Autore: la scintilla

domenica 27 marzo – Presentazione di COSPIRAZIONE ANIMALE con l’autore Marco Reggio + Collettivo IPPOLITA, dibattito sulle pratiche intersezionali

Posted on 2022/03/22 - 2022/03/25 by la scintilla

di-Versi a confronto per la liberazione da sistemi di controllo/sfruttamento dei corpi #######################################################################     

DALLE 13:00

PRANZO BENEFIT INGUAIATX AL LIGÈRA



DALLE 16:00

DIBATTITO intorno alle tematiche toccate da COSPIRAZIONE ANIMALE,

* con l’autore MARCO REGGIO e compagnə del GRUPPO IPPOLITA che ne ha curato la pubblicazione.

 

DALLE 19:00

CENA OSTERIA VEGAN * BENEFIT offerta libera RIFUGIO AGRIPUNK SOTTO SFRATTO

* pasta con cavolo nero e besciamella di riso * polpette di zucca porro e ceci * frittelle di mele

 

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Che cosa hanno a che fare la razza, il binarismo di genere e l’abilismo con l’animalità? In che modo la costruzione del corpo disabile si intreccia con l’animalizzazione dei reietti del pianeta?

Gli animali sono davvero soggetti “senza voce” o mettono in campo forme di resistenza allo sfruttamento? È allora possibile un’ecologia non antropocentrica?

Per rispondere rifiutando le soluzioni riduzionistiche è necessario uno sguardo situato. Marco Reggio muove da episodi problematici del proprio attivismo nel movimento di liberazione animale con una serie di incursioni fra testi letterari, studi decoloniali, teorie queer e critical animal studies.

Per una critica radicale alla cultura coloniale in cui si mantengono inscritti i meccanismi odierni di mercato, per una lotta alle istituzioni che legittimano forme di dominio su corpi e territori, vogliamo confrontarci con Marco Reggio in riferimento a quel che resta di tutte quelle pratiche che permettono di riscattarsi dallo stato di “vittima” e da condizioni di “debolezza”.
Rovesciare la logica della “sconfitta politica” può allora significare riprendersi dimensioni di lotta proprio laddove le istituzioni calcolano di averla “resa inabile”, repressa, relegata in quell’alveo marginalizzato cui vengono destinati i soggetti che non concorrono socialmente ad agire dominio né abuso, o in cui finiscano ricacciati i corpi che restano improduttivi o che si sottraggano al ciclo di sfruttamento capitalistico. Vogliamo farci complici dei percorsi di soggettivazione di questi corpi e insieme della risignificazione della propria corporeità in prospettiva conflittuale, tale da non lasciarsi assoggettare oltre, né sussumere, da termini di privilegio.
Nell’arco di spazi e quotidianità contestualmente “disfunzionali”, a dispetto della norma, proprio lo smarrimento personale e l’inadeguatezza sociale possono costituire i primi passi per risollevarci deviando dalle dinamiche sociali che seguono il binario della domesticazione.
Il confrontarci sulle singole esperienze corrisponde a far nascere e saldare rapporti di solidarietà che non abbisognano di egemonie formali abilitanti, esprime perciò il nostro intimo tentativo di contrastare apparati anche assistenziali, anch’essi, in quanto strutturalmente emanazioni statali, diretti da burocrazie che esercitano un controllo delle utenze in carico secondo iter normalizzanti, senza contare che spesso si tratta di servizi presto lasciati in appalto a progetti cooperativi a statuto d’impresa e dirottati privatisticamente alla messa a profitto. Come poi se per emanciparsi da una forma di oppressione ci si potesse affidare ad istituti che non fanno altro che farne diagnosi isolata, promuovendo la separazione di quell’esperienza dalle altre innumerevoli forme di oppressione che gli stessi “servizi” sono invece tenuti a conservare, a specchio delle amministrazioni piuttosto che per un senso diretto di comunità.
Per non lasciare quindi che le problematiche cosiddette “personali” vengano recuperate entro la normatività che annulla le differenze singolari ed allo stesso tempo ne sancisce confini categorici, determinati da criteri padronali, speculativi, di efficienza, di performatività, etc., pensiamo sia fondamentale continuare a tessere rapporti di affinità e al contempo con portato intersezionale, tendendo ad un richiamo reciproco e ad una autocritica costante rispetto al proprio agire politico..
Ed è forse proprio nel non poter accettare di lasciare indietro nessunx che se ne alimenta il potenziale sovversivo.

“L’antispecismo è imbarazzo, meraviglia e turbamento,

e non è mai un punto di arrivo, ma piuttosto uno sguardo.

Si è a fianco dei soggetti ribelli di ogni specie, complici.

Si cospira, si respira insieme:

si conviene immediatamente su ciò che è inaccettabile

e si fanno piani per sovvertire la supremazia umana.

L’azione diretta, dunque, lo ispira e gli dà linfa.”



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# Marco Reggio è un attivista per la liberazione animale.

Ha curato Manifesto queer vegan (con M. Filippi, 2014) di R. Simonsen, 
Corpi che non contano (con M. Filippi, 2015), 
Animali in rivolta (con feminoska,2017) di S. Colling, 
Smontare la gabbia (con N. Bertuzzi, 2019) e 
Bestie da soma (con feminoska, 2021) di S. Taylor. 


# Il Gruppo Ippolita è un collettivo di ricerca indipendente e interdisciplinare focalizzato sugli usi problematici delle tecnologie digitali. 
Il gruppo nasce nel 2004, all’hacklab Reload in Pergola a Milano, sull’idea di reality hacking: uscire dall’immaginario e dalle pratiche più strettamente nerd per entrare in quelle più allargate dell’agire (e dell’immaginare) politico. In sostanza, pratichiamo l’hacking del sé come antidoto alla collusività degli automatismi. Scriviamo libri, ci occupiamo di far pubblicare altre voci e di diffondere consapevolezza informatica con approcci di pedagogia hacker.

La cosa più importante che abbiamo fatto è stata avere il coraggio di fare ricerca indipendente e di scrivere quello che pensiamo davvero, perché contro ogni pronostico credibile ha funzionato. Perché rompe con la logica del consenso e del conformismo.

Abbiamo contribuito a disinnescare la narrazione dominante della Silicon Valley sulle nuove tecnologie creando la cornice teorica necessaria allo sviluppo di riflessioni e tecnologie non-egemoniche, che noi chiamiamo conviviali sulla scia di Illich.

La cultura per noi è una forma di azione diretta, un’auto-difesa, uno strumento per combattere. Non può essere scevra da passione politica; quando si fa un uso politico dei propri privilegi inizia l’esercizio antropo-tecnico. L’ostacolo più grande da superare è la generale mancanza di consapevolezza dei rapporti di forza.

Anche per questo, una delle nostre pratiche è fare network con organizzazioni culturali nazionali e internazionali, realtà di movimento, hacklab, universitarx, ricercatrici e ricercatori.

 

Ippolita si interroga sulle possibilità di riappropriazione quantomeno comunicativa, fino a percorsi di organizzazione politica, in ottica antiautoritaria, open source e contro la sorveglianza, in particolare attraverso laboratori ed incontri di critica della rete, in contrasto alle imprese proprietarie che la monopolizzano, per la decentralizzazione e l’autodifesa digitale.

Dobbiamo rompere con l’idea di futuro.

La ripartizione del tempo è un dispositivo disciplinare che serve a legarci alla società della prestazione infinita.

Il futuro è morto.

Chi ci spiega cosa sarà, sta cercando di manipolarci.

Il futuro è qui e ora.

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sabato 19 marzo – REFUSE RESIST n.11 con Bologna Punx

Posted on 2022/03/22 - 2022/03/22 by la scintilla
𝗥𝗲𝗳𝘂𝘀𝗲 𝗥𝗲𝘀𝗶𝘀𝘁 & 𝗕𝗼𝗹𝗼𝗴𝗻𝗮 𝗣𝘂𝗻𝘅 presentano:

🔥 𝗥𝗲𝗹𝗲𝗮𝘀𝗲 𝗣𝗮𝗿𝘁𝘆 undicesimo 𝗡𝘂𝗺𝗲𝗿𝗼 𝗱𝗶 𝗥𝗲𝗳𝘂𝘀𝗲 𝗥𝗲𝘀𝗶𝘀𝘁 🔥

𝚛𝚎𝚏𝚞𝚜𝚎 𝚝𝚑𝚎𝚒𝚛 𝚠𝚊𝚛𝚜 | 𝚛𝚎𝚜𝚒𝚜𝚝 𝚝𝚑𝚎𝚒𝚛 𝚙𝚎𝚊𝚌𝚎

 

💣 Presentazione del libro 𝙎𝙘𝙝𝙚𝙜𝙜𝙚 𝙙𝙞 𝙍𝙪𝙢𝙤𝙧𝙚 • 𝘚𝘵𝘰𝘳𝘪𝘦 𝘥𝘪 𝘩𝘢𝘳𝘥𝘤𝘰𝘳𝘦 𝘪𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢𝘯𝘰 𝘯𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘯𝘯𝘪 ’90 (rimandata)
a cura di Andrea Capó Corsetti e Monica Rage Àpart Miceli

 

💣 Concerti con

▪︎ 𝗡𝗲𝗶𝗱 [Grind Leggend • Viterbo] (rimandatx)

▪︎ 𝗢𝘂𝘀𝘁 [Raw HC Punk • Amsterdam]
▪︎ 𝗦𝗵𝗼𝗸𝗶 [Potere Violenza • Milano] (rimandatx)
▪︎ 𝗕𝗹𝗶𝘀𝘀 [“No” Post Punk • Roma]
▪︎ 𝗛𝗼𝗯𝗯𝗶𝘁 𝗠𝗼𝘁𝗵𝗲𝗿𝗳𝘂𝗰𝗸𝗲𝗿𝘇 [Turbojugend • Pescara]
▪︎ 𝗣𝗮𝘃𝗲𝗹 [True Black Trap • Bologna]

💣 Divertentismo After Party

❗️Arriva presto❗️
NO sessismo
NO fascismo
NO fobie o presunte tali
SÌ presǝ bene
SÌ presǝ male
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sabato 12 marzo – TAKE TEK_KNOW HOW

Posted on 2022/03/07 - 2022/03/23 by la scintilla
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Sabato, 12 marzo,

DALLE 16:30 IN PIAZZA SANT’EUFEMIA a Modena,

sotto quella che era la vecchia galera infame della città :
INTERVENTI A MICROFONO APERTO IN RICORDO DELLE RIVOLTE AL CARCERE DI SANT’ANNA,
perché non possiamo smettere di disturbare l’ipocrisia e l’indifferenza della cosiddetta normalità cui le amministrazioni ci vorrebbero ridurre,
ossia le stesse condizioni che hanno portato all’insabbiamento di testimonianze ed evidenze riguardo le dinamiche repressive avvenute tra quelle mura,
così come al chiuso di tutti penitenziari in sollevazione durante quei giorni..
Per chi volesse aggiornamenti sui pestaggi mai riconosciuti dal Tribunale (la sentenza di archiviazione è stata emessa per procura dal giudice Andrea Romito già a inizio giugno 2021)
e, soprattutto, per sostenere la raccolta fondi ancora attiva per la famiglia di Hafedh, il pomeriggio continuerà con iniziative del Comitato di Verità e Giustizia di Modena, di cui facciamo menzione soprattutto per l’essersi dedicato a mantenere contatti con le famiglie e con i cinque detenuti che per aver testimoniato, in un esposto, della misure punitive conseguite alle rivolte (come del resto chiunque di noi stesse immaginando in quel periodo nonostante il silenzio prolungato della maggior parte dei Garanti dei detenuti, e ben a prescindere da un discorso di prova di colpevolezza tramite telecamere d videosorveglianza, quindi anche senza bisogno di registrazioni come è stato nel caso dei pestaggi di Santa Maria Capua Vetere), per aver testimoniato l’ovvio dunque, ossia delle ordinarie misure per il mantenimento dell’ordine, ricordiamo ancora una volta che nell’arco di oltre un anno Mattia, Claudio e Belmonte soprattutto hanno subito ripercussioni a livello penale e ricevuto vessazioni, tanto da parte di guardie penitenziarie che dagli stessi direttori.
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Ci sposteremo poi nel nostro spazio per dedicarci al do it yourself elettronico ed alla sperimentazione che emerge dal frangersi delle onde di frequenza.. la distro è sempre comunque benefit, ora di nuovo prigionierx anarchicx
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DALLE 18:30 !!

WORKSHOP di assemblaggio componenti e modificazione di apparecchi musicali con Claudio HESED dell’ANALOG TECNÈ MODELSHOP, direttamente da Dresda.
Le sue proposte di laboratorio saranno due in particolare, una per chi chi conosca già alcuni rudimenti ed una di avvicinamento.. La disponibilità massima è di 10 persone in modo che tutte riescano a completare il proprio circuito. Invitiamo chi parteciperà ad un contributo minimo per coprire le spese del materiale utilizzato.

Per tenere il posto / materiale necessario e per ulteriori info scrivete a freeakid@inventati.org o direttamente allo Scintilla.

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Durante e dopo i laboratori si potrà suonare in JAM SESSION VERSIONE CHAOTIC LIVE con le proprie macchinette, filtri e strumentazioni varie.. all’amplificazione pensiamo noi, voi portatevi i cavi necessari al cablaggio reciproco.
Sempre dalle 18:30 ci sarà lo spazio libero, sia all’aperto che dentro, per le DISTRO DI AUTOPRODUZIONI
(ovviamente con riferimento non solo musicale)

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DALLE 20:00

cena vegan (primo e secondo)
TUTTO BENEFIT OPERAZIONE PROMETEO
per aiutare a colmare le spese legali che stanno continuando a gravare su alcunx compagnx,
sux quali le accuse di terrorismo sono persino cadute per mancanza di prove,
ma come da prassi non senza che la Giustizia statale abbia riservato loro mesi ed anni di carcere preventivo..
https://infernourbano.altervista.org/sentenza-del-processo-per-loperazione-prometeo-beppe-natascia-e-robert-sono-stati-assolti/
# PM MERDE
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Dalle 21:00

PROIEZIONE DI NOISE P-RAT IN ACT
Documentario sulla vecchia scena underground tekno-punk della Bologna ai tempi del Livello57.
Una produzione old school di TEKLA TAIDELLI tra rumore e ribellione, pellicola rimasta fino ad oggi inedita.
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NO SBIRRI / NO AUTOMI /// WE’RE NOT CRIMINALS / NO ESPIAZIONI
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A.C.A.B. all connections are broken …
#fucknationalsmedia #fuckliberalmarket #takeyourknowhow

 

Per chi ce l’ha fatta a scrollare fino a qui, aggiungiamo l’ennesima locandina -NO FB NO INFAMI- con la line-up:

 

 

 

 

 

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martedì 8 marzo e sabato 12 marzo – A DUE ANNI DALLE RIVOLTE DEL SANT’ANNA (E NEI PENITENZIARI DI TUTTA LA PENISOLA)

Posted on 2022/03/07 - 2022/04/07 by la scintilla
Questo sabato, 12 marzo,

INTERVENTI A MICROFONO APERTO IN RICORDO DELLE RIVOLTE AL CARCERE DI SANT’ANNA,

perché non possiamo smettere di disturbare l’ipocrisia e l’indifferenza della cosiddetta normalità cui le amministrazioni ci vorrebbero ridurre,
ossia le stesse condizioni che hanno portato all’insabbiamento delle testimonianze dei detenutx ed al negare le evidenti inconcruenze riguardo le dinamiche repressive avvenute tra quelle mura, così come al chiuso di tutti penitenziari in sollevazione per indulto ed amnistia in quegli stessi giorni.
Insabbiamento tanto processuale (ricordiamo che la sentenza di archiviazione è stata emessa dal giudice Andrea Romito già a giugno 2021), funzionale alla conservazione di istituti oppressivi in quanto classisti oltre che delle cariche da servi del loro esecutivo armato; quanto un insabbiamento moralistico, conformemente scavato nella memoria dei bravi e onesti cittadini.

uanto moralistico, conformemente scavato nella memoria dei bravi e onesti cittadini.

Non possiamo che provare ancora schifo per l’accettazione dimostrata dall’opinione pubblica della retorica che vorrebbe rimediare alle contraddizioni ed ingiustizie sociali scaricandole sulle solite categorie del controllo: scaricandole cioè via via sul “criminale di strada”, sul “tossico”, sull'”immigrato”, .. Categorie che fanno sì che la violenza istituzionale possa compiersi ed autoassolversi.

Per

Abdellah Ouarrad,

Ali Bakili,

Ante Culic,

Artur Iuzu,

Carlo Samir Perez Alvarez,

Erial Ahmadi,

Ghazi Hadidi,

Hafedh Chouchane,

Haitem Kedri,

Lofti Ben Masmia,

Marco Boattini,

Salvatore Cuono Piscitelli,

Slim Agrebi,

morti per mano delle guardie e per le omissioni di soccorso a seguito delle rivolte dell’8 e 9 marzo 2020.

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DALLE 16:30 ci troveremo allora IN PIAZZA SANT’EUFEMIA a Modena,

sotto quella che era la vecchia galera infame della città

(quando ancora non si usava che le prigioni strutturalmente nascoste tra le fabbriche di periferia..).

Domani mattina invece, alle 10:00, invitiamo tutte e tutti dietro il carcere di Sant’Anna per solidarizzare,
quantomeno tramite il nostro saluto e la nostra presenza, verso gli attuali detenuti,
di nuovo abbandonati alle ripercussioni delle guardie, al sovraffollamento, alle imposture legaliste.
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PRESIDI SOTTO LE CARCERI NEI PROSSIMI GIORNI:

MARTEDÌ 8 MARZO ALLE 17:00 PRESIDIO PER JUAN MASSIMO AGNESE STECCO IN PZ LORETO – ROVERETO

MARTEDÌ 8 MARZO ALLE 18:00 PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI SAN VITTORE – MILANO

SABATO 12 MARZO ALLE 18:00 PRESIDIO SOTTO AL CARCERE DON BOSCO – PISA

SABATO 12 MARZO ALLE 17:30 PRESIDIO SOTTO IL CARCERE LE VALLETTE – TORINO

DOMENICA 13 MARZO ALLE 17:00 PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DELLA DOZZA – BOLOGNA

BASTA CON LE MORTI DI STATO,

BASTA CON LE MISURE DETENTIVE,

FUORI TUTTX!

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venerdì 25 febbraio – MERCATINO MUSICALE #4

Posted on 2022/02/25 - 2022/02/25 by la scintilla

Posted in General

sabato 12 febbraio – SPEZZARE IL BASTONE, PRENDERSI LE CAROTE

Posted on 2022/02/12 - 2022/02/12 by la scintilla

Posted in General

Uno spazio occupato non è un locale! *COMUNICATO

Posted on 2022/01/28 - 2022/08/05 by la scintilla
pdf solo testo:  La scintilla - comunicato - uno spazio occupato non è un locale

Posted in dibattiti, General, PANDEMONIO distro-zine

CATALOGO ARCHIVIO STORICO-BIBLIOTECA

Posted on 2022/01/15 - 2022/02/04 by la scintilla

All’interno del Catalogo (lo si può consultare cliccando sul link in fondo), in continuo aggiornamento, si possono trovare ordinati per categorie/formato e tematiche trattate libri/opuscoli/fanzine/manifesti/cataloghi/poster/compilation presenti, ad oggi, nell’archivio storico del Circolo Libertario Autogestito La Scintilla, all’interno dello spazio Biblioteca.

Il materiale raccolto e catalogato in tutti questi lunghi anni rappresenta un’importante testimonianza delle iniziative e della storia del nostro spazio, del movimento anarchico e non solo.

Per info puoi scrivere alla mail: lascintilla@autoproduzioni.net

CATALOGO ARCHIVIO STORICO LA SCINTILLA GENNAIO 2022

 

Posted in General, La Scintilla Auto-produzioni/Archivio Storico/Biblioteca

sabato 15 gennaio – FALLACE LA ROTTA DEL DOMINIO TOTALE

Posted on 2022/01/09 - 2022/02/01 by la scintilla

 

 

 

 

PER AGGIORNAMENTI RECIPROCI / SCAMBI CRITICI / NO COVID PARTY / NO SOCIALISMO REPUBBLICHINO / NO MACHOS UNITARI / SÌ COLLETTIVISMO MINORITARIO / SÌ DISAGIO PSICOSOCIALE / SÌ RABBIA INFORMALE

dalle 16:00

X dibattiti informali X con:

X HIRUNDO edizioni / LA NAVE DEI FOLLI da Torino

X compagnx dell’assemblea popolare di Busto Arsizio da Varese

X C.A.M.A.P. collettivo antipsichiatrico da Brescia

X individualità anarchiche sciolte da Bologna, sulla iatrogenesi

 

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NEGAZIONE DELLA MORTE // NEGAZIONE DELLA VITA
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Da una totalizzante mercificazione del selvatico attraverso processi di devastazione della natura,

all’assunzione di un dogmatismo politico per risolverne i disastri ecologici, nell’abbaglio di approdi tecno-scientifici sempre più pervasivi...

E da vincoli di bilancio su sistemi assistenziali di base e burocratizzazione degli accessi alla cura,

a derive coercitive che tenterebbero rovinosamente di sopperirvi.

Nel rimosso di un post-moderno principio di salute, che rifiutiamo di applicare,

continua a spargersi il cancro della speculazione privatistica aziendale…

 

Se c’è qualcosa che ancora ci resta, in una sempre più pervasiva espropriazione e strumentalizzazione dei nostri bisogni, sta all’opposto di queste,

una ormai flebile ma inestinguibile determinazione a negare ogni influenza che le autorità si arrogano di poter diffondere sulle nostre vite.

XXX

“Lontano dalle codificazioni.
In questo disperato tentativo forse ne abbiamo costruito altre, altrettanto abbarbicate e inestricabili. La vita che realizziamo nel mondo è ricca di duplicità, cioè non possiamo non accorgerci delle apparenze che manipoliamo, dei ruoli che siamo costretti a giocare. Molti allevano in loro questa tabe [malattia degenativa, marciume, n.d.qb] e sono quindi esseri doppi, giani che in qualunque momento possono girare l’altro lato della maschera. Per fare questo hanno bisogno di nascondere il loro vero volto… Eppure anche loro hanno dentro una inquieta consapevolezza dell’assenza; in fondo, non sono contenti, ed è così che quasi sempre scaricano sugli altri la propria attenzione e le proprie disillusioni. Ma i possessi che conseguiranno, alla fine, davanti alla morte, non potranno restituire il condensato di un veramente vissuto, e si accorgeranno di avere inseguito fantasmi di ogni genere, pietosi rifacimenti della realtà.”
[dal secondo numero di Nega-Zine, 2018, edizioni Anarchismo]

 

XXX

“Certo, interpretare il mondo di oggi, questo baraccone luminoso di tecnologia immanente, non è facile; sviscerare in maniera critica ciò da cui quotidianamente dipende la nostra sopravvivenza mette angoscia; il rilevare la quantità enorme di protesi tecnologiche di cui abbisogna la nostra esistenza inibisce non poco il desiderio di disfarsene. Eppure la libertà senza auto-nomia rimane una presunzione vuota. Così come vuota è l’autonomia incapace di darsi una pratica. Ma la pratica, nel suo compiersi, premette la conoscenza e l’interpretazione. Quindi, anche se faticoso, uno sforzo in questo senso pensiamo sia necessario.”

[da SENZA DI NOI. Sulla tecnologia, le sue evoluzioni e le sue implicazioni sul vivente. Sull'apparenza. Sull'eugenetica e il controllo. Dei cavalli di troia, delle cassandre. E anche di quello che non si dice., 2008, Kinesis, Varese, autoproduzione]

 

XXX

Qui sotto uno sfogo-spunto, per il superamento di alcuni incagli ideologici,

invitando ad una riflessione profonda e che sia intersezionale,

cui solo forme di organizzazione diretta potranno tornare a dare un senso…

 

Come avesse dovuto farsi tempo di guerra, la morte, prima nascosta, silenziata e rimossa, è divenuta improvvisamente protagonista indiscussa di ogni notiziario e di ogni decreto di governo. Nell’arco inedito di questa sua annunciazione, coloro che ne sono stati fatti spettatori hanno per lo più finito per acconsentire ad un’ennesima narrazione della propria singolare “impotenza”, usata stavolta per corroborare la falsa necessità (*) di delegare le proprie vite a palliativi normativi generalisti e confusi, astratti e manipolabili, i quali purtroppo, insinuandosi in questi due anni attraverso il nuovo conio del principio delatorio votato al debellamento fisico-sanitario, ma anche sociale e in ambito comunicativo, di potenziali “untori”, o quello anche più esplicitamente moralista che si pone contro “gli egoisti”, delazione e moralismo dunque, che anche se -apparentemente- prive di argomentazioni derivative da demagogia anti-degrado, hanno ricalcato niente più che la presunzione di una sicurezza “nazionale” e “globale”(altro universale ciclicamente misconosciuto) mantenendosi nel concreto per lo più ben distanti da possibilità più spontanee e mutualistiche di una reale responsabilizzazione, intesa come rivendicazione di autonomia dei singoli entro i propri rapporti di prossimità;

nella riduzione a spettatori, invece, purtroppo più presi dal terrore nei confronti dei bollettini quotidiani che presi da una riflessione sulla presenza della morte stessa già nell’ineluttabilità degli ingranaggi in cui si trova ogni quotidiano divenire “civile”, con tuttx i benefici che comporta (potremo mai rinunciarci?) o venga resa da condizione di privazioni sistemiche, del tutto pregresse all’ultimo virus Sars, e del resto, vige un’accettazione indifferente di come dalla morte stessa si tragga più o meno direttamente un valore produttivo che a sua volta andrà a comporre il valore attribuibile alla propria personalità sociale. E quindi, non si capisce come una sensibilità che voglia definirsi tale abbia smesso di ragionare (posto che lo si facesse) di come quella morte benedetta dal sovraffollamento delocalizzato, quasi un fattore residuo del processo evolutivo, non fosse affatto assente nelle progettualità ingegneristiche dell’eliminazione di forme di vita minorate, subalternità etniche o di specie, tacciate di non essere influenti, di non servire o di poter servire come trasformati industriali, eliminatx dal senso di un patire comune pur di fare spazio a sé, o meglio, al profitto per sé (confuso sì il profitto con l’io, ma che non lo sostanzia mica, molto più banalmente: lo rende complice).

[nota * : sulla falsa necessità di delegare le proprie vite, questa si rende impostura proprio attaverso la sua pretesa logicità, sillogisticamente prescritta, ossia procedendo dall’universale quale conforme e naturalizzato concetto di cittadinanza, fino ad i particolari che ne compongono l’insieme, soggettività senza valore fuori di quello ed il cui valore entro dell’insieme viene definito secondo un interesse che li precede e li eccede a tal punto che anche nella manifestazione dei propri bisogni gli individui risultano impossibilitati a non identificarsi nella categoria di massa che li accomunerebbe, in un ulteriore rimosso, che con la morte ha ben a che fare, ossia le differenze di privilegio.]

Questo ciclo di alienazione soggettiva e di oggettivazione delle esistenze attraverso le quali ci si vorrebbe affermare rispetto alla cultura dominante, un’esistenza insomma formalizzata, omologata e omologante, senza la quale non si vede significato se non indotto, spesso concatenato agli stessi meccanismi che del significato se ne appropriano per frne nuova merce, la si chiama “normalità”. Un mondo strizzato in un gioco di specchi giuridici e proiezioni della tecnica, arnesi che non hanno però poi tanto significativamente ampliato quelli che erano i limiti nella concezione prerinascimentale di costrutto simbolico circolare, rimanendo per giunta nel solco di cinte murarie, anche se elettrificate. Un uroboro lasciato in pasto a se stesso. Si trae dunque una sorta di recondita ipocrisia connaturata alla società “normale” in cui ci ritroviamo, fin’ora fondatasi su contrappunti retorici utili al reindirizzamento delle soggettività devianti verso un disciplinamento indotto (e nel plauso perfino, quando non nella distrazione generale): contrappunti retorici quali quelli che si ricalcano su”cedimento o esclusione”, “sacrificio o tortura”, pressoché sempre primariamente stabiliti sulla pelle del più “debole” di turno, a secondo di quanto qualunque cosa potesse significare questa categoria, questa potesse venire strumentalizzata per il profitto di pochi. Il virus ha portato un ribaltamento, non tanto nel senso di eguaglianza davanti alla malattia (perché quello non lo si è mai, per quanti standard d’intervento assistenziale potranno venire calcolati), bensì per quello che viene trasmesso dagli schermi televisivi. È sembrato per un attimo che la morte smettesse di venir colta, dalle istituzioni dominanti, come il tradizionale “bene comune” che da questa fino ad oggi si possono vantare aver conseguito.

Tale “bene comune” non è che emanazione allora di un “progresso neoliberale”, se si voglia usare una terminologia più esplicita.

Per ritrovare qualche riferimento che ci aiuti a non perderci tocca allora probabilmente uscire dal campo di costruzione tanto retorica che di appannaggio strettamente sociopolitico, il quale si è arrogato un po’ troppo l’esclusiva di un’amministrazione della vita pubblica. Tocca scavare. Emerge quanto stia nella paura popolare, piuttosto che nella ragione di cui il volgo è mantenuto privo, il principio di innesto sociale di gran parte dei palliativi normativi, nonché del suo corrispettivo conformismo culturale, che nel poggiare su costruzioni di stigma distaccate dalla concretezza individuale, procece all’accusa delatoria, all’ipocrisia borghese che come un tarlo nell’inconscio coglie anche chi non abbia davvero nulla da guadagnarci. Tutto in nome di una presunta sicurezza “nazionale” e “globale”, precedente immaginario di molte crisi. Nella nostalgia della “normalità”, la paralisi che ha colpito una non meglio concepita “cittadinanza” ha ottenuto di alimentare il delirio narrativo costruito sulla propria impotenza, o non-indipendenza.

Tanto dal lato delle teorie del complotto di ultima generazione, quanto nel riporre speranza in false promesse gestionali e di nuovi boom economici, ci voleva una pandemia perché la morte iniziasse a venire presa in considerazione nel suo rapporto con i luoghi, i tempi e i modi dell’organizzazione sociale che contraddistingue il concetto comune di “benessere”. 

Nonostante però sia sorta qua e là anche un’attenzione alla disfatta del sistema sanitario, l’opinione pubblica sembra rimasta ben lungi dalla presa di coscienza di quanto questo, come ogni conquista del welfare pubblico, non possa prescindere nel suo funzionamento, men che meno nel momento del collasso, da un intrico di causalità corruttibili concomitanti, che perseverano, fino a farsi strutturalmente decretate, verso un futuro sempre più pervaso da elementi che eccederanno il nostro campo d’azione, e quindi anche la possibilità di rimedio agli errori da ricaduta macroscopica, elementi insomma che (tangibili o meno che siano dagli istogrammi statistici) vanno a sommarsi in nuove forme di”malattia”.

Ma di questo non è dato ancora dibattere, in una sorta di auto-limitazione dell’evolvere di argomentazioni che possano emanciparsi da costrutti fideistici di verità assoluta (diciamo pure medioevale, però “i reazionari sono sempre gli altri”) resi infine (nuovamente), e con mero linguaggio e retorica politica, mica , quali “indiscutibili”. Dietro a questa retorica aizzata, più che un dibattito metodologicamente scientifico sembra di poter riscontrare il pantano della mistificazione. Non si vede in effetti all’orizzonte della militanza di area marxista, con la quale si condivide pure tanto in termini di conflitto, alcun rovesciamento dell’imperscrutabilità interpretativa dei dati, né di quel conflitto storico che si lasci aggiornare a nuove possibilità di espropriazione proletaria di questi dati e dell’amministrazione delle proprie vite, riscattandole dalle dichiarazioni di coloro che campano del profitto su queste. La divisione specialistica dello sfruttamento lavorativo resta ben salda, tantomeno si crede espletabile una raccolta di valutazioni dirette e dal basso sulla gestione di sé e dei propri rapporti sociali.

Non sembra poi darsi alcun rigore minimamente scientifico nemmeno mentre se ne difende il metodo, senza a volte rendersi conto che la propaganda di un governo è una cosa, la ricerca di laboratorio un’altra. In questo ostinato limitarsi a sovrapporre l’approccio rigidamente dualista di moda al momento, all’esistenza stessa, forse per uno strenuo tentativo di fuggire alla complessità dinamica di questa, gli ultimi decenni di controinformazione rivoluzionaria e insurrezionale sono stati così ridicolmente gettati in quella che, traspare (e finalmente si è rivelata per quello che è), è in procinto di stabilirsi non più come una dialettica delle forze produttive nella scelta consapevole dei propri mezzi e dei propri obiettivi, bensì in una contrapposizione politica ormai naturalizzata della società attuale, questa polemòs archetipica tragicamente immutabile tra negazionismi vicendevoli: o stai col “progresso!”, o con la “reazione!”.

Davanti a un simile binarismo, calato in quel che si taccia come un “noi” perduto, possiamo solo suggerire un semplicissimo MA ANCHE NO verso entrmbe le accuse, procedendo oltre… E scusassero se abbiamo finito le lacrime.

Il disorientamento operato e riflesso che riscontriamo quotidianamente nella sterilità, già intrinseca al mezzo comunicativo, dei dibattiti meramente virtualizzati, o nell’insulto su metodo di ricerca e valutazione quando i risultati confrontati non siano congruenti: anziché quind confrontare appunto “metodo, fonti e risultati” tanto benedetti rispetto alle proprie prospettive di sopravvivenza. Questo possibile approccio, certo non incendiario, ma pur sempre un modo sano di non lasciare la propria conoscenza delle condizioni in cui riversiamo in mano alle classi dirigenti, è stato invece scartato per la strenua e quanto mai infame ricerca pseudo-proletaria di educare “una gran massa di ignoranti” (contro cui allo stesso tempo si lascia veicolare le frustrazioni del momento), tramite le medesime rassicurazioni della ricerca appositamente selezionate dalle potenze finanziarie che amministrano oculatamente la precarietà delle nostre vite. Il distacco da queste prospettive, ossia l’assumere rivendicazioni proprie, senza manco troppa consultazione di esperti del settore, sta venendo sempre più trattato, persino da chi parla di lotta antipadronale, come materia politica da gogna. Simile moralismo probatorio-processuale, per quanto grottesco, ricalca pericolosamente la maniera delle imposture giudiziarie, e sempre tornare a traferire il concetto di “decoro” prima affibbiato nei meandri urbani, alle possibilità del pensiero analitico. 

Lo scontro che ci si presenta come sociopolitico mentre si pretenderebbe ontologico e giustiziere insieme, come in un armageddon finale, quello tra progresso o reazione, ha in effetti perso parecchia della sua integrità pratica, e forse non andrebbe preso sul serio ormai che come poco più che un problema meramente ermeneutico. Lo spirito rivoluzionario che rimane a questo tempo non riferisce d’altronde più molto altro di sé che il permearsi di un capitalismo ideologico, ormai secolarizzatosi su quello materiale. Ma ciò che invece a noi preme qui osservare, e che ancora si manifesta come bisogno di sollevazione, pur senza tante illusioni, è il dramma del coinvolgimento sempre più capillare e interiorizzato delle forme del dilagare del capitalismo rispetto al disorientamento di prospettive del vivente, senza farne una distinzione di specie quando si assume l’eliminazione di alcuni a beneficio di altri, generalmente più potenti. 

Per questi motivi, alla notizia della “pandemia” e dell’emergenza fattane, non potevamo che rinnovare l’invito a chiederci: chi è il virus? O meglio, cosa ha significato la sindemia per noi e come non prendere parte alla guerra del sistema per il mantenimento di se stesso: cosa è la morte per noi, con quali mezzi si diffonde la morte, come possiamo contrastarla e in che senso vogliamo approcciarci alla cura… E come coltivare questo approccio reciprocamente.

E questo anche per riscattarci da un’atrofizzazione dilangante nell’immaginario comune di tematiche complesse quale è “la salute” in questioni di mera sopravvivenza biologica d’urto, concetti positivisticamente e burocraticamente ridotti, continuando a risultare con ciò banalmente funzionali alla conservazione ipocrita di apparati classisti. 

Ecco allora certo, ciò che ci divide: mentre alcunx hanno introiettato pienamente la mentalità unitaria e paternalistica scambiandola per il diritto all’accesso ospedaliero, noi non abbiamo dimenticato di non essere affatto tuttx sulla stessa barca. 

Quello di cui ci è toccato prendere atto, e con rammarico, è che l’approccio dei primi ha fatto emergere nella coscienza di molti compagni, come in quella normalizzata cioè plasmata dalle norme, un consolidamento del principio statale di obiettività ordinatrice, dal manto rieducativo o meno, nell’applicazione di strumenti repressivi. Questi ultimi sono tali da colpire non più solo sui piani rivendicativo, giuridico, fisico e psicologico, bensì ormai efficacemente (ed il green-pass ne è stato un banco di prova) sul piano culturale. 

Calandosi nel reale, sostenere degli obblighi, quantunque efficaci e funzionali alla preservazione di questo sistema ben prima che in un aleatorio rispetto dei più deboli, significa schierarsi con le forze armate, con il calcolo imprenditoriale e con la demagogia patriarcale di Stato, come se i loro interessi potessero corrispondere al rispetto di noi stessx e delle “categorie fragili”. L’ostracizzazione del “dissenso” in quanto tale, o in quanto percepito come delirante, e appunto per quanto delirante, e per quanto quella dipinta come male minore e prioritario per la salute reciproca, non porta che al rafforzamento di misure coatte, se non persino ad una “psichiatrizzazione, nel dibattito sociale, delle attitudini recalcitranti, fino allo stabilizzarsi di un ampio consenso sulla coercizione sanitaria, abbandonando la contestualizzazione diretta di molteplici istanze. Questo processo porta purtroppo, nell’opinione comune ma anche nelle pratiche condivise, alla soppressione di quelle stesse potenzialità riorganizzative che desiderino dedicarsi ad una sussistenza che non si lasci sovradeterminare; che non si esauriscano nello sguardo sul mondo in una dipendenza insormontabile dai tecnicismi; che non si immedesimino acriticamente nella retorica pubblicistica di sempre più intrusive implementazioni per l’efficienza produttiva e di controllo; che non siano disposte a misconoscere i propri bisogni diretti, né a temere percorsi di indipendenza da megalo-meccanismi. 

Quella che ormai spesso viene distorta come “reazione” a tutto ciò, confusa dalle allerte di certo antifascismo inariditosi dietro all’ennesimo recupero del potere costituito del concetto di “bene comune”  e di tanti altri termini di cui sembra ahiloro sempre più vano avere esperienza diretta (questa misconosciuta), in quanto ormai decretati dal dibattito mainstraim alla funzione usa e getta che risulta di volta in volta più comoda, in un ribaltamento semantico insito nella propaganda (perchè ancora di propaganda si può parlare) che insiste a definire lo stato delle nostre fotture esistenze a prescindere dalle rivendicazioni, dal contesto e dalla storia degli ultimi. Invece no, chi pone “dubbi” è all’oggi sicuramente cripto-fascista, come poi se non lo sapessimo (leggasi “facessimo pure noi”) già che condizioni discriminatorie, coercitive e in qualche modo oppressive potessero venire assimilate a quello di “privazione di libertà”. O no?

Si tratta piuttosto semplicemente di mantenere coscienza di come questo delicato passaggio storico stia portando a compimento irreversibile la pianificazione urbanistica, modelli gentrificatori, infrastrutture logistiche ad alto impatto ambientale, il culto sfrenato della merce, ai quali si sono aggiunte soluzioni ignegneristiche energivore vendute come ecologiche e di cui non si ha percezione, come l’investimento in modificazioni nanometrica dei materiali, fino alla più banalizzata conversione digitale dei rapporti in sempre più ambiti comunicativi. I tentativi dal basso, ormai resi “irrazionali”, di fare analisi e di agire per non rimanere annicchilitx da questi processi, quando non definitamente eliminatx, sono forse stati abbandonati da chi li sosteneva solidarmente, o non sono forse stati compresi appieno? Non hanno forse a che fare con la salute collettiva? 

L’accanimento pieno di pregiudizi sul disorientamento informativo, sociale, politico e personale, ma che su questo disorientamento si alimenta, non è forse allora che il riflesso frustrato di un rifiuto interiore ad affrontare il presente con le proprie armi, ognunx a se stessx ed alle contraddizioni entro cui fin’ora s’è lasciatx incarnare. 

Il miracolo che tutti pare in tantx si attendono vigilmente dalle misure inquisitorie postmoderne è la scomparsa della morte dal discorso pubblico, il suo ritorno all’isolamento e alla riservatezza delle sale di rianimazione, dalle quali  non sembra poter uscire al confronto tra comuni mortali una benché minima considerazione dei limiti intrinsechi al progresso di una crescente automazione tecnologica,  e negli hospice, dove l’anziano non possa tornare a costituire un problema per la frenesia urbana e per i rimasugli di sovvenzioni assistenziali.. 

Pertanto, ci siamo domandatx semmai quali fossero le intersezioni sindemiche del virus su cui potevamo agire, e come autodeterminare un percorso di maggior consapevolezza a riguardo. 

Rifiutiamo, al contrario, un’assimilazione passiva delle nostre esistenze all’avanzamento liberale, ordo o locale che sia, sempre su matrice coloniale si è eretto e che coloniale continua a rivelarsi. 

E rifiutiamo pure molto serenamente di applicare o subire il moralismo che esso sparge come un’esalazione velenosa, tanto più in quanto quant’ultimo si rivela intrinsecamente sbirresco, inneggiante al paternalismo sanzionatorio e previdenziale istituzionale, in questa strana illusione di un alveo (fortuna limitato) post-movimentista, perché evidentemente le lotte non erano già abbastanze soffocato dal procedere classista-amministrativo e penalistico-carcerario, di poter trovare la propria coerenza emancipatoria nell’accettazione di fatto acritica delle procedure statali. 

Nel promuovere l’inevitabilità di rimettere le proprie sorti in mano alle opere di governo troviamo un sintomo di resa definitiva ai principi di un progresso che si pone fin dai suoi albori quale irrefrenabile, che ora, nell’avanzamento sperimentale biotecnologico, di derivazione eugenetica devastatrice e securitaria insieme, checché non lo si voglia di riconoscere profondamente monopolistica e colonizzatrice, si picca di trovare le soluzioni ai suoi disastri: dallo sradicamento e genocidio di popolazioni indigene fino allo spargimento risolutivo di fattori microbiologici quale le percentuali di inquinamento persistente riscontrabili in ormai ogni cosa che respiriamo, mangiamo, beviamo.

Restiamo apertx ad un confronto vivo, che negli scazzi quanto nel supporto vis a vis trovi il suo concreto margine d’intesa, un tipo di scambio facilmente squalificabile dalla comunicazione mainstream ed in termini di massa o popolazione, in quanto non accettiamo di prestarci ad essere recuperatx da qualche forma di riduzione positivistica e burocratica, men che meno di poggiare sul principio del controllo, o del ricatto sociale, al contrario rinnovando la nostra opposizione schietta al suo propagarsi in modo sempre più capillare, tanto dal punto di vista prettamente demografico quanto in chiave ermeneutica, pertanto anche politica, e psicologica insieme, con ricadute in ambiti tossicologici e psichiatrizzanti, come si rileva dallo stato di sofferenza in tal senso in cui moltx di noi riversano..

In sintesi, niente su di noi, sopra di noi.

Mentre le autorità non potrebbero succedersi se non negando la concatenazione storica senza posa di morti accidentalmente provocate entro una funzione conservatrice delle dinamiche di potere istituite via via, e mentre si dedicano all’annientamento di qualsiasi esistenza non rientri in parametri e confini di domesticazione ai meccanismi strutturali grottescamente paternalisti e patriarcali tramite i quasi esse si espandono ipertroficamente, mentre insomma pretendono estrarre valore dalle masse popolari tramite l’impostura dei principi di efficienza e funzionalità plasmabile, così nella trita ragion Stato, come nel reset d’impresa 4.0, ci sembra di intravedere le ultime potenzialità di conflitto nella presa di coscienza della condizione postmoderna di rimozione continua di sé, delle proprie sofferenze personali, delle lotte politiche sconfitte o recuperate, di riduzione al meramente condizionato, alla dipendenza totale dalla merce, alla resa alle sue leggi come alla derivazione passiva, in null’altro che il riflesso di articolate cooptazioni demagogiche, di pestilenze industriali nanometriche, di economie che continuano senza freni a negare lo sfruttamento umano, animale, della terra. 

Se c’è qualcosa che ancora ci resta, in una sempre più pervasiva espropriazione e strumentalizzazione dei nostri bisogni, sta all’opposto di queste, una ormai flebile ma inesauribile determinazione a negare le autorità ed ogni influenza che si arrogano di poter diffondere sulle nostre vite.

 

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“L’unica cosa che potremmo fare è essere contenti e beati della nostra situazione. Non la situazione terminale dei sanatori, non la situazione estrema delle miniere, non la situazione di sfruttamento occhiuto delle quattordici ore lavorative, ma una situazione del tutto accettabile. 
In altre parole, la catena che stanno costruendo potrebbe essere una catena dorata, abbastanza comoda da consentire molti movimenti e, a lungo andare, con la catena ai piedi, potremmo pensare che stiamo camminando grazie alla catena, non malgrado la catena, e nel momento in cui pensiamo che stiamo camminando grazie alla catena il cerchio si è chiuso, siamo definitivamente ridotti allo stato di schiavitù. Ad un tipo di schiavitù senza rimedio.  Ecco perché è necessaria la ribellione oggi ed ecco perché è necessaria la distruzione oggi.”
[da Dominio e RIvolta, Alfredo Bonanno]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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A Paolo Ranieri

Posted on 2021/12/25 - 2022/01/09 by la scintilla
E’ venuto a mancare oggi un compagno che ne ha viste tante.. uno che -a differenza di molti sinistri che si lasciano andare agli imbrogli della mera teoria volatile o imbrigliare nella riesumazione di un autocompatimento commemorativo, distaccandosi perciò inesorabilmente dall’insorgere quotidiano- non ha lesinato continuare a cercare di essere presente.. e questo nonostante avesse la possibilità di nascondersi dietro la rendita del suo contributo a vecchie rivendicazioni.
.
Traspare insomma, e parecchio già attraverso chi lo ha accompagnato nei sentieri meno battuti, quanto egli abbia scelto di esprimere -ancora da sé- la propria critica, di raccontare l’impossibile nell’allerta contro qualche ostacolo qua e là incrociato, come testimonianza diretta a coloro che sarebbero passati in seguito; un modo di contribuire ad ovviare agli errori, rovesciandoli, detournandoli..
Perché nessuno di quegli ostacoli finisca a trasformarsi più, nelle tenebre della coscienza, nei pericoli tramite cui la Storia ci mette all’angolo. In pratica, per una società più giusta.
.
Fuor di astrazione simbolica, gli obiettivi di approccio rivoluzionario a volte sono molto più semplici da raggiungere che il sopportare quel che si crede e quel che s’impone: qualcosa che forse lui sapeva, e di cui vale la pena rendersi presto conto. Che la terra gli sia lieve.
.
Condoglianze ai suoi compagni di una vita.
.
Ⓐ
————————————————————————————————————————————–
Di seguito, qualche suo vecchio contributo recuperabile in raccolte internet di scritti politici e comunicati di lotta.

 

  • http://www.ecn.org/filiarmonici/ranieri.html
Introduzione alla seconda edizione dell’autobiografia di Horst, Ormai è fatta (2003, Torino, Nautilus / El Paso).
“[…] Il presente appare sempre tale agli adoratori dell’ovvio, per poter meglio essere rimpianto quando sarà finalmente divenuto passato – e d’altronde divenire passato non è la vocazione più profonda del presente non vissuto? […] A qual pro conoscere i fatti, le persone, se lì [riferito agli archivi delle procure e di cronaca giornalistica] stanno già, condensati, eventi e personaggi? Se, come avverte Benjamin, i proletari, con la rivoluzione, prima che del proprio futuro, hanno necessità di riprendere possesso del proprio passato, è indispensabile, a tal fine, essere coscienti che tale possesso va innanzi tutto conteso e sottratto alle istituzioni che vi presiedono, la legge e la stampa, solidali nell’imprigionare la nostra memoria e nell’archiviare e salvaguardare unicamente le tracce della nostra prigionia. […]
Il personaggio, troppo a lungo intrattenuto, finisce sempre per degradarsi definitivamente in macchietta. E’ a questo punto che può dirsi raggiunto l’obiettivo, perseguito, a ogni costo, da così tanti mentitori concordi: celare, elidere, oscurare, minimizzare e ridicolizzare la coerenza e l’esemplarità della vita di questo compagno. E’ dal fondo di quest’abisso di luoghi comuni che paralizzano e ottundono, che la ripubblicazione di questo libro deve prendere le mosse, per riafferrare la vicenda, lineare ed eloquente, di un uomo che ha voluto essere libero immediatamente, senza attendere che il partito lo conducesse o che le masse lo seguissero; che, agendo secondo questi criteri, ha anticipato con i propri atti un grande movimento di liberazione individuale praticata collettivamente; che ha voluto scegliere il proprio destino fino alla fine.
Autenticamente proletario, e quindi acutamente cosciente della propria estraneità alle ragioni che muovono questo mondo, Horst non stava bene né in carcere né fuori dal carcere, e continuamente confrontava queste due condizioni, riconoscendone la sostanziale omogeneità e complementarità. Benché avesse lavorato per così poco tempo in cambio di un salario, non cessa mai di considerarsi un operaio, né quando rapinava, né quando poi fu carcerato; un’attitudine che certo apparirà sorprendente al giorno d’oggi, quando neppure chi attende alle ultime catene di montaggio si percepisce più come operaio. Ma di volta in volta come cittadino, lavoratore, tecnico, produttore, e così via. […]
Quanti, soprattutto negli anni immediatamente successivi, furono quelli che percorsero la medesima strada di Horst? La strada di un operaio povero, insofferente alla disciplina e alla sottomissione, che sceglie di fare davvero quel che tantissimi pensano di fare, e solo alcuni fanno davvero: di andare a rubare piuttosto che continuare ad obbedire. […]”

 

  • Ludd ovvero dell’insurrezione permanente.
Articolo su La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018
“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.
[Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere. Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:]
“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.
[La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.

 

  • http://www.nelvento.net/critica/paolo.php
Trascrizione di un’intervista a Paolo Ranieri realizzata da alcuni compagni per il film “Bombe sangue capitale”, sulla strage di piazza Fontana e la Milano del 1969.
“… Uno dei portati del dopo Piazza Fontana è la scoperta della possibilità di convertire la militanza rivoluzionaria in carriera, attraverso le infinite maniere di rispondere a quest’attacco, nascono proprio le professioni della sinistra, nasce la figura di quello che hafatto il ’68, cioè nasce il controgiornalismo, che rapidamente si converte poi in giornalismo ufficiale; nasce la controinchiesta giudiziaria, che porta poi chi a diventare giudice chi a diventare poliziotto, chi a diventare giornalista giudiziario, chi comunque a diventare specialista e specialista retribuito. Quella che era anche al di là della consapevolezza, che per molti aspetti era ancora turbinosa, confusa, cioè tutti i soggetti coinvolti in quella fase che va dal ’67 al ’68-69 sono persone giovanissime, in una maniera che il movimento di oggi non riesce sostanzialmente nemmeno a figurarsi, comunque era una battaglia contro il lavoro, contro la normalità, contro la strutturazione sociale. Rapidissimamente attorno alla difesa contro le bombe, contro il fascismo e così via si converte in nuovi lavori, in una nuova dimensione politica, in una nuova istituzionalizzazione sia formale che sostanziale. Rapidamente tutti coloro che prima cercavano di allontanarsi dalla normalità in qualche maniera vengono richiamati a fare il loro dovere. In definitiva, il messaggio – non so quanto le bombe lo volessero dare – ma il messaggio che è stato recepito è che bisognasse mettere – come già allora si diceva – la testa a partito. Occorreva che ciascuno tornasse a fare il lavoro politico, tornasse a fare il proprio dovere, in definitiva a chinare la testa e a farla chinare agli altri. In questo senso tutti gli anni Settanta nascono sotto questa luce mortifera, alla quale si intenderà in mille modi di opporre resistenza, ma che alla fine travolgerà tutto quanto nella divaricazione tra quella che è la dimensione lottarmatista e quella che è invece la dimensione della normalizzazione. Da questo punto di vista liberarsi da questa dimensione è un’urgenza che non è ancora stata completamente risolta, nella quale ci troviamo ancora per molti aspetti a dibatterci oggi, a distanza di così tanti anni. …
Poco prima delle bombe – credo nell’ottobre del ’69 – la polizia aveva ucciso un ragazzo a Pisa, che si chiamava Pardini, c’era stata una grande manifestazione e noi già allora avevamo fato un attacco molto violento contro la gestione burocratica, in particolare dell’Università Statale, facendo un volantino in cui c’era appunto la frase: «Studente, di rosso ti è rimasto unicamente il bracciale da poliziotto», e che ovviamente aveva creato dei grossi dissapori con noi di Ludd, altri amici, tra cui molti personaggi che poi saranno inquisiti o saranno portati in Questura dopo le bombe, cioè proprio quell’ambito dove l’inchiesta cercò di andare a colpire. Tra l’altro si può dire che, in effetti, la distribuzione del volantino dei situazionisti Il Reichstag brucia? dopo il 12 dicembre è uno degli ultimissimi momenti in cui la Statale è ancora agibile per chi non faccia atto di sottomissione verso i leader maoisti e stalinisti. Proprio in quei primissimi giorni dopo le bombe è uno degli ultimi momenti in cui il movimento si percepisce ancora come una realtà non totalmente asservita e piegata alla dimensione ideologica. Poi, per tanti motivi, appunto per il clima generale che si era creato per l’influsso, da principio sotterraneo e poi crescente del Partito comunista e dei sindacati, che creano un rapporto privilegiato con questi gruppi cosiddetti extraparlamentari, rapidamente si arriva a una forma di normalizzazione. … 
Piazza Fontana è praticamente il momento in cui tutta una serie di forze che andavano liberamente montando su un modello che avevamo sperimentato l’anno prima – noi felicemente i nostri nemici con vero e proprio terrore col Maggio francese –, cioè la possibilità di una rivoluzione individuale praticata collettivamente e che quindi sorpassava la dimensione della violenza, la rendeva inutile, inattuale, marginale rispetto alla forza dispiegata di queste infinite soggettività che s’incrociavano e interagivano e che in Italia stava cominciando a muoversi sugli stessi temi, questa dimensione viene bloccata e congelata, e riappaiono tutti i tipi di specialismi, di carrierismi. L’ideologia diviene arma e l’arma diviene ideologia. In questo senso si può notare che di tutta la vicenda così com’è stata organizzata dalle forze dello Stato, della NATO, che stanno dietro coloro che hanno messo le bombe e hanno studiato la maniera di gestirle e che hanno mostrato indubbiamente notevoli dosi di incapacità, di inettitudine e di leggerezza, l’aspetto però che è significativo è che il gruppo dei capri espiatori, da Valpreda agli altri, viene scelto – evidentemente attraverso un lavoro di intelligence durato mesi e mesi – avendo come centro il gruppo di quelle persone che avevano creato il grande scandalo al congresso anarchico di Carrara dell’anno precedente, in cui era intervenuto Cohn-Bendit reduce freschissimo dalle vicende del Maggio, e che avevano posto la questione di portare i temi del Maggio anche in Italia. Il fatto che questo passaggio fosse stato individuato come un momento da far saltare e da criminalizzare indica che pur nella trivialità del progetto delle bombe esisteva comunque anche una certa dose di lungimiranza.
E in effetti, occorre riconoscere che se un progetto è rimasto poi bloccato e congelato attraverso l’intreccio degli opposti specialismi e ideologie che è esploso dopo la bomba, è stato proprio il progetto di una rivoluzione della vita quotidiana così come il Maggio ce l’aveva in qualche maniera prospettata e alla quale tante persone stavano, con diversi gradi di consapevolezza, concorrendo fino a quel momento.”

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