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A Paolo Ranieri

Posted on 2021/12/25 - 2022/01/09 by la scintilla
E’ venuto a mancare oggi un compagno che ne ha viste tante.. uno che -a differenza di molti sinistri che si lasciano andare agli imbrogli della mera teoria volatile o imbrigliare nella riesumazione di un autocompatimento commemorativo, distaccandosi perciò inesorabilmente dall’insorgere quotidiano- non ha lesinato continuare a cercare di essere presente.. e questo nonostante avesse la possibilità di nascondersi dietro la rendita del suo contributo a vecchie rivendicazioni.
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Traspare insomma, e parecchio già attraverso chi lo ha accompagnato nei sentieri meno battuti, quanto egli abbia scelto di esprimere -ancora da sé- la propria critica, di raccontare l’impossibile nell’allerta contro qualche ostacolo qua e là incrociato, come testimonianza diretta a coloro che sarebbero passati in seguito; un modo di contribuire ad ovviare agli errori, rovesciandoli, detournandoli..
Perché nessuno di quegli ostacoli finisca a trasformarsi più, nelle tenebre della coscienza, nei pericoli tramite cui la Storia ci mette all’angolo. In pratica, per una società più giusta.
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Fuor di astrazione simbolica, gli obiettivi di approccio rivoluzionario a volte sono molto più semplici da raggiungere che il sopportare quel che si crede e quel che s’impone: qualcosa che forse lui sapeva, e di cui vale la pena rendersi presto conto. Che la terra gli sia lieve.
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Condoglianze ai suoi compagni di una vita.
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Ⓐ
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Di seguito, qualche suo vecchio contributo recuperabile in raccolte internet di scritti politici e comunicati di lotta.

 

  • http://www.ecn.org/filiarmonici/ranieri.html
Introduzione alla seconda edizione dell’autobiografia di Horst, Ormai è fatta (2003, Torino, Nautilus / El Paso).
“[…] Il presente appare sempre tale agli adoratori dell’ovvio, per poter meglio essere rimpianto quando sarà finalmente divenuto passato – e d’altronde divenire passato non è la vocazione più profonda del presente non vissuto? […] A qual pro conoscere i fatti, le persone, se lì [riferito agli archivi delle procure e di cronaca giornalistica] stanno già, condensati, eventi e personaggi? Se, come avverte Benjamin, i proletari, con la rivoluzione, prima che del proprio futuro, hanno necessità di riprendere possesso del proprio passato, è indispensabile, a tal fine, essere coscienti che tale possesso va innanzi tutto conteso e sottratto alle istituzioni che vi presiedono, la legge e la stampa, solidali nell’imprigionare la nostra memoria e nell’archiviare e salvaguardare unicamente le tracce della nostra prigionia. […]
Il personaggio, troppo a lungo intrattenuto, finisce sempre per degradarsi definitivamente in macchietta. E’ a questo punto che può dirsi raggiunto l’obiettivo, perseguito, a ogni costo, da così tanti mentitori concordi: celare, elidere, oscurare, minimizzare e ridicolizzare la coerenza e l’esemplarità della vita di questo compagno. E’ dal fondo di quest’abisso di luoghi comuni che paralizzano e ottundono, che la ripubblicazione di questo libro deve prendere le mosse, per riafferrare la vicenda, lineare ed eloquente, di un uomo che ha voluto essere libero immediatamente, senza attendere che il partito lo conducesse o che le masse lo seguissero; che, agendo secondo questi criteri, ha anticipato con i propri atti un grande movimento di liberazione individuale praticata collettivamente; che ha voluto scegliere il proprio destino fino alla fine.
Autenticamente proletario, e quindi acutamente cosciente della propria estraneità alle ragioni che muovono questo mondo, Horst non stava bene né in carcere né fuori dal carcere, e continuamente confrontava queste due condizioni, riconoscendone la sostanziale omogeneità e complementarità. Benché avesse lavorato per così poco tempo in cambio di un salario, non cessa mai di considerarsi un operaio, né quando rapinava, né quando poi fu carcerato; un’attitudine che certo apparirà sorprendente al giorno d’oggi, quando neppure chi attende alle ultime catene di montaggio si percepisce più come operaio. Ma di volta in volta come cittadino, lavoratore, tecnico, produttore, e così via. […]
Quanti, soprattutto negli anni immediatamente successivi, furono quelli che percorsero la medesima strada di Horst? La strada di un operaio povero, insofferente alla disciplina e alla sottomissione, che sceglie di fare davvero quel che tantissimi pensano di fare, e solo alcuni fanno davvero: di andare a rubare piuttosto che continuare ad obbedire. […]”

 

  • Ludd ovvero dell’insurrezione permanente.
Articolo su La critica radicale in Italia. LUDD 1967-1970, con una Introduzione e una memoria di Paolo Ranieri e una ricostruzione storico-politica a cura di Leonardo Lippolis, NAUTILUS, Torino 2018
“E’ ora, infatti, di dire basta alla moltiplicazione incessante e interessata di manifestazioni “in memoria”. Come il Primo Maggio […] ideato per essere l’appuntamento annuale con quel vagheggiato sciopero generale che spostava la presenza potenziale dell’insurrezione possibile insieme con l’assenza di rivoluzione attuale: da quando, con l’iterazione e la corrosione del tempo passato e il sequestro della produzione di memoria da parte delle istituzioni, ci si è scordati di questo, si è definitivamente degradato in una sorta di Pentecoste, rito lagnoso di una neo-religione per schiavi, aspiranti schiavi e liberti, meritevole di essere fuggito come la peste […] E lo stesso si può affermare senza esitazioni per il 25 aprile, il 12 dicembre, il 14 luglio […] ciascuno con le precise specificità che gli valgono un posto in questo martirologio della laica religione della disfatta, celebrata senza posa e senza vergogna dai voltagabbana incartapecoriti dalla nostalgia e dai militanti del conformismo”.
[Come si può ben comprendere fin da queste poche righe, che danno la cifra esatta del discorso anti-retorico e di rottura che la critica radicale italiana ha portato avanti fin dai suoi albori, non vi è possibilità di mediazione, di reciproco seppur parziale coinvolgimento e neppure di pace armata tra una miserabile concezione della politica di “sinistra” che ha fatto della sconfitta e della collaborazione di classe la sua terra d’adozione ed una visione che dell’iniziativa rivoluzionaria ed insurrezionale dal basso, proletaria e giovanile, ha fatto la sua ragione di esistere. Continua, anzi anticipa, poi ancora Ranieri:]
“Non possiamo nascondere a noi stessi che operazioni-memoria come la presente – intese a isolare una vicenda del passato raccogliendone i documenti in un’edizione che, elaborata dai superstiti stessi, aspira a mostrarsi critica, completa, definitiva, TOMBALE – rappresentano uno dei mille espedienti che l’universo delle merci adotta per frenare la propria inarrestabile entropia”.
[La Lega operai-studenti, che rivendicava l’eredità dei Consigli operai, insisteva invece sulla necessità di trovare nuovi canali di insubordinazione, non necessariamente legati alla fabbrica, rigettando l’impostazione gerarchica e centralizzatrice leninista. La Lega operai-studenti negava ogni valore alla lotta rivendicativa di natura economica a scapito di una critica radicale del lavoro salariato, bollato come inumano e assurdo […] «La critica rivoluzionaria – recita il significativo passaggio di un manifesto del gruppo – deve interessarsi di tutti gli aspetti della vita. Denunciare la disintegrazione delle comunità, la disumanizzazione dei rapporti umani, il contenuto e i metodi dell’educazione capitalistica, la mostruosità delle città moderne» (I 14 punti della Lega degli operai e degli studenti)”.

 

  • http://www.nelvento.net/critica/paolo.php
Trascrizione di un’intervista a Paolo Ranieri realizzata da alcuni compagni per il film “Bombe sangue capitale”, sulla strage di piazza Fontana e la Milano del 1969.
“… Uno dei portati del dopo Piazza Fontana è la scoperta della possibilità di convertire la militanza rivoluzionaria in carriera, attraverso le infinite maniere di rispondere a quest’attacco, nascono proprio le professioni della sinistra, nasce la figura di quello che hafatto il ’68, cioè nasce il controgiornalismo, che rapidamente si converte poi in giornalismo ufficiale; nasce la controinchiesta giudiziaria, che porta poi chi a diventare giudice chi a diventare poliziotto, chi a diventare giornalista giudiziario, chi comunque a diventare specialista e specialista retribuito. Quella che era anche al di là della consapevolezza, che per molti aspetti era ancora turbinosa, confusa, cioè tutti i soggetti coinvolti in quella fase che va dal ’67 al ’68-69 sono persone giovanissime, in una maniera che il movimento di oggi non riesce sostanzialmente nemmeno a figurarsi, comunque era una battaglia contro il lavoro, contro la normalità, contro la strutturazione sociale. Rapidissimamente attorno alla difesa contro le bombe, contro il fascismo e così via si converte in nuovi lavori, in una nuova dimensione politica, in una nuova istituzionalizzazione sia formale che sostanziale. Rapidamente tutti coloro che prima cercavano di allontanarsi dalla normalità in qualche maniera vengono richiamati a fare il loro dovere. In definitiva, il messaggio – non so quanto le bombe lo volessero dare – ma il messaggio che è stato recepito è che bisognasse mettere – come già allora si diceva – la testa a partito. Occorreva che ciascuno tornasse a fare il lavoro politico, tornasse a fare il proprio dovere, in definitiva a chinare la testa e a farla chinare agli altri. In questo senso tutti gli anni Settanta nascono sotto questa luce mortifera, alla quale si intenderà in mille modi di opporre resistenza, ma che alla fine travolgerà tutto quanto nella divaricazione tra quella che è la dimensione lottarmatista e quella che è invece la dimensione della normalizzazione. Da questo punto di vista liberarsi da questa dimensione è un’urgenza che non è ancora stata completamente risolta, nella quale ci troviamo ancora per molti aspetti a dibatterci oggi, a distanza di così tanti anni. …
Poco prima delle bombe – credo nell’ottobre del ’69 – la polizia aveva ucciso un ragazzo a Pisa, che si chiamava Pardini, c’era stata una grande manifestazione e noi già allora avevamo fato un attacco molto violento contro la gestione burocratica, in particolare dell’Università Statale, facendo un volantino in cui c’era appunto la frase: «Studente, di rosso ti è rimasto unicamente il bracciale da poliziotto», e che ovviamente aveva creato dei grossi dissapori con noi di Ludd, altri amici, tra cui molti personaggi che poi saranno inquisiti o saranno portati in Questura dopo le bombe, cioè proprio quell’ambito dove l’inchiesta cercò di andare a colpire. Tra l’altro si può dire che, in effetti, la distribuzione del volantino dei situazionisti Il Reichstag brucia? dopo il 12 dicembre è uno degli ultimissimi momenti in cui la Statale è ancora agibile per chi non faccia atto di sottomissione verso i leader maoisti e stalinisti. Proprio in quei primissimi giorni dopo le bombe è uno degli ultimi momenti in cui il movimento si percepisce ancora come una realtà non totalmente asservita e piegata alla dimensione ideologica. Poi, per tanti motivi, appunto per il clima generale che si era creato per l’influsso, da principio sotterraneo e poi crescente del Partito comunista e dei sindacati, che creano un rapporto privilegiato con questi gruppi cosiddetti extraparlamentari, rapidamente si arriva a una forma di normalizzazione. … 
Piazza Fontana è praticamente il momento in cui tutta una serie di forze che andavano liberamente montando su un modello che avevamo sperimentato l’anno prima – noi felicemente i nostri nemici con vero e proprio terrore col Maggio francese –, cioè la possibilità di una rivoluzione individuale praticata collettivamente e che quindi sorpassava la dimensione della violenza, la rendeva inutile, inattuale, marginale rispetto alla forza dispiegata di queste infinite soggettività che s’incrociavano e interagivano e che in Italia stava cominciando a muoversi sugli stessi temi, questa dimensione viene bloccata e congelata, e riappaiono tutti i tipi di specialismi, di carrierismi. L’ideologia diviene arma e l’arma diviene ideologia. In questo senso si può notare che di tutta la vicenda così com’è stata organizzata dalle forze dello Stato, della NATO, che stanno dietro coloro che hanno messo le bombe e hanno studiato la maniera di gestirle e che hanno mostrato indubbiamente notevoli dosi di incapacità, di inettitudine e di leggerezza, l’aspetto però che è significativo è che il gruppo dei capri espiatori, da Valpreda agli altri, viene scelto – evidentemente attraverso un lavoro di intelligence durato mesi e mesi – avendo come centro il gruppo di quelle persone che avevano creato il grande scandalo al congresso anarchico di Carrara dell’anno precedente, in cui era intervenuto Cohn-Bendit reduce freschissimo dalle vicende del Maggio, e che avevano posto la questione di portare i temi del Maggio anche in Italia. Il fatto che questo passaggio fosse stato individuato come un momento da far saltare e da criminalizzare indica che pur nella trivialità del progetto delle bombe esisteva comunque anche una certa dose di lungimiranza.
E in effetti, occorre riconoscere che se un progetto è rimasto poi bloccato e congelato attraverso l’intreccio degli opposti specialismi e ideologie che è esploso dopo la bomba, è stato proprio il progetto di una rivoluzione della vita quotidiana così come il Maggio ce l’aveva in qualche maniera prospettata e alla quale tante persone stavano, con diversi gradi di consapevolezza, concorrendo fino a quel momento.”

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