VENERDÌ 24 FEBBRAIO la Cassazione dovrebbe finalmente avere la decenza di esprimersi in maniera decisiva rispetto alle condizioni detentive di Alfredo, che in tale data, augurandoci che le sue condizioni fisiologiche di salute non precipitino, raggiungerà il 128° giorno di sciopero della fame.
Nel mentre, si susseguono sgomberi di spazi e di famiglie, rastrellamenti di quartieri interi per distruggerne la socialità, cariche della celere ai cortei e un immancabile chiacchiericcio sul terrorismo anarchico da parte di quadri dirigenziali, tra procuratori generali che invocano ergastoli e vati della giurisprudenza più biecamente conservatrice ormai al ministero. Da Saluzzo a Nordio, il vero denominatore estrinsecabile dalle logiche imposte dalla Giustizia di Stato è il privilegio che consta nel criminalizzare la realtà del dissenso politico, soprattutto di qualsiasi azione diretta che sia per l’autodeterminazione individuale e collettiva.
Va da sé che delle strumentalizzazioni giudiziarie, atte a colpire appunto quel che resta dei percorsi antiautoritari, non sono accettabili nemmeno i grotteschi rimbalzi di responsabilità tra autorità competenti: già solo questo atteggiamento dimostra la serietà di chi presiede alle cattedre repubblicane, ovvero la faciloneria indisturbata con cui si può firmare la condanna a morte di un individuo e insieme vendersi come super partes. Al contrario di questi immanicati, non rinunciamo a discernere tra chi decreta e chi subisce. Compagno della FAI FRI in questo caso, ma cui si vorrebbe rifilare l’analogo trattamento punitivo da tempo riservato, a compedio dell’associazionismo mafioso, e con apparente successo, a Nadia Lioce, Marco Mezzasalma, Roberto Morandi e Diana Blefari – quest’ultima suicidata dallo Stato in regime di 41-bis ormai 14 anni fa -, brigatisti tombati non per estrema solerzia processuale, ma sulla base di una ben previdente norma del 1986 e di scusanti emergenziali che hanno comportato un ambiguo riaffermarsi del carcere duro fino al 2002, in cui è stato reso definitivo nonché disposto inoltre nei casi di reati eversivi ed attentati, anticipando di 13 anni le linee operative per una fusione della Direzione Nazionale Antimafia con quella Antiterrorismo. Ma non si può fingere che simili restrizioni non siano state ampiamente sperimentate pure in precedenza alla Legge Gozzini, a repressione delle sollevazioni carcerarie che corrisposero alla stagione del ’77, quando ancora il piglio rivoluzionario di ciò che contrapponendosi alle istituzioni veniva tacciato come “violento” non si lasciava ridurre alle sue interpretazioni parlamentari. Ed è precisamente sulla irriducibilità che Alfredo punta, agendola fin dal ventre del Leviatano per mezzo del suo stesso corpo ed attraverso i suoi contributi scritti.. gli stessi che sono stati oggetto della recente inchiesta Sibilla attraverso cui lo si è accusarlo di “istigazione a delinquere” (art. 414) tanto per corroborare tramite l’aggravante “con finalità di terrorismo” i teoremi confezionati nell’op. Scripta Manent. A sua volta un vero e proprio processo alle intenzioni, questa si è conclusa con 14 fantasiose condanne, tra cui l’analoga al compimento di una “strage” pur di rammendare la vacuità dell’attribuzione ad Alfredo del carattere di pericolosità “nei confronti della sicurezza dello Stato” (art.285).
Il 41-bis e insieme l’ostatività dei reati non sono in fondo che formule perfezionate di isolamento primariamente politico. Soltanto senza guardare alla storia del costituirsi di questo regime detentivo (ed alla corruzione come fattore intrinseco alle congiunture statali) si può crederlo circoscritto ad una “lotta alla mafia”, analogamente al falso ideologico dell’antifascismo istituzionale. E non riteniamo affatto che il carcere speciale possa essere guardato con eccezionalità, anzi esso rappresenta invero il metro con cui possiamo misurare la sincera democraticità rieducativa dell’intero complesso coercitivo-punitivo, perché in continuazione vediamo l’estendersi, fuori della normatività e dei vanti garantisti per personaggi influenti e servitori di sorta, di modalità amministrative che colpiscono i possibili legami affettivi e mutualistici del detenuto e che si impongono per la violenza psicologica estrema con cui si punta a recidere ogni rivendicazione tracciata nel suo vissuto, ogni background conflittuale di riferimento, liquidando la sua stessa posizione difensiva ad un elemento da sopprimersi.
La differenza con altre tipologie di pena ci pare consista non tanto nella singolarità giuridica di questi articoli, per quanto ulteriormente afflittiva, ma in una inusuale esplicitazione degli obiettivi di controllo sux condannatx (e di lì sulle frange di popolazione che si pretende addomesticare) in maniera da svuotarne la memoria stessa: il riflesso della propria identità, come del suo lascito esternamente alle sbarre. Questa ammissione specifica del legislatore tuttavia non stupisce, e in certo senso è persino superflua dal momento che non ci è parso che i medesimi obiettivi non vengano altresì continuativamente perseguiti nelle più fantasiose maniere, dalla stampa ai tribunali: ricordiamo le ripercussioni e l’esito di archiviazione con cui procure, PM e amministrazioni tutte hanno negato la strage dei detenuti compiuta dalle guardie del 2020, quella sì accaduta davvero. Si trattava di detenuti insorti al Sant’Anna di Modena, come in un’altra quarantina di case circondariali, non certo per morire di overdose, ma per l’amnistia e l’indulto. Richieste cui non è stata riconosciuta nessuna legittimità nonostante di fatto siano state contestualmente sollecitate dalle stesse restrizioni indebite eseguite a carattere d’urgenza, tale per cui la presa dei comparti carcerari ed il raggiungimento dei tetti potesse essere accolta come preoccupazione conseguente alle condizioni premesse, anziché un tentativo criminale di estorsione. Richieste che sono state ragionevolmente diffuse e rilanciate, a partire dalla critica ad un sovraffollamento mai risolto, eppure bypassate completamente, persino soffocate, mentre personaggi autorevoli si apprestavano a confezionare illazioni sulla “direzione mafiosa delle sommosse”, analogamente alle recenti idiozie da rotocalco ricamate sugli unici colloqui permessi ad Alfredo).
E non troviamo poi dove stia l’evoluzione di principio rispetto agli antichi metodi inquisitori mirati all’abiura in quello che si sussegue ininterrottamente come un pedissequo “colpire” nel mucchio della sovversione “antagonista”: ovvero senza alcuna considerazione delle istanze sollevate via via, bensì seguendo da manuale la mera e becera logica strumentale del nemico pubblico.
Ai numerosi esemplari tentativi di recidere qualunque contatto con l’esterno, e potremmo dire le possibilità stesse di una riflessione propria, che evidentemente non è concedibile né concepibile se non quando condotta alla dissociazione e di lì alla collaborazione col potere, si somma una ulteriore condanna, invisibilizzata dall’arrampicata, quella sì obiettivamente omertosa, dei notiziari mainstream, eppure corrispondente ad una percentuale di gesti di autolesionismo, fino al togliersi la vita, i quali riforma dopo riforma non smettono di fuoriuscire dalle maglie della censura grazie a presidi, lettere e rapporti solidali (che per qualche proprietà transitiva delle categorizzazioni sul crimine, non si tarda a trasformare in nuovi comodi capi d’accusa..). Lungi per altro dal fare della somministrazione tranquillamente coatta di psicofarmaci-sedativi, sotto il cui effetto gli operatori carcerieri si illudono di annichilire il desiderio di libertà, una ulteriore soluzione fisica al “problema” delle proteste, ossia al problema del “risveglio” di lotte politiche, ci si potrebbe avvedere piuttosto della maniera incessante in cui tutte e tutti coloro che si sollevano dentro le carceri, senza dimenticare quelle minorili, e nei CPR di tutta la penisola, analogamente a prigionierx che portano avanti scioperi della fame in tutto il mondo da che esistono le gabbie statali, strutturali per l’avanzamento capitalistico, tentino non già di costituire qualche minaccia terroristica cui associarsi, bensì di battere sulla consapevolezza rispetto alla loro stessa esperienza detentiva quale manifesta espressione della consistenza – nei fatti – dei capisaldi delle democrazie liberali e della loro sventolata mitologia dei diritti umani (quella per cui alle stragi – quelle vere – come alle mattanze dei GOM, spintesi notoriamente ben oltre il pretesto del controllo di cosche mafiose, si possono far seguire per esempio vitalizi, la conduzione di editoria neofascista, il reinserimento e la promozione poliziesca. Eeco poi come a fronte di equivalenze ergastolari comminate ad Anna e Juan, oltre che ad Alfredo, e fondate su calligrafie e segnali pirotecnici, gli ultimi due picchiatori che erano rimasti interdetti dopo la scuola Diaz hanno ripreso l’incarico proprio in questi giorni. Non è però su un compendio delle differenze di trattamento che ci si vuole soffermare, poiché queste, ben chiare agli occhi di chi le riceve in forma discriminatoria, non sono che un assunto di base della critica al sistema capitalistico. Nondimeno, la patriotica condanna alla reclusione di una sessantina di migliaia di prodotti umani di scarto anno dopo anno si rispecchia fedelmente come prevenzione delle risposte individuali ad una più generalizzata condanna a morte, per quanto lenta, e anche qui tutta derivante dalla legittimazione della burocrazia borghese: quella di miliardi di persone che ogni giorno si trovano a dover sopravvivere allo sfruttamento padronale ed alla devastazione dei propri territori.
Perciò quando i capi di governo dicono “non trattiamo”, “non cederemo alle intimidazioni”, non abbiamo nessun dubbio che intendano riferirsi, stravolgendone completamente il significato, ad ogni gesto di ribellione ancora possibile. E che il campo del ricatto, quello che tenta di privarci del nostro stesso presente oltre che del linguaggio in cui ci riconosciamo partecipi, è ancora tutto da espropriare … Tanto semanticamente, secondo la retorica servile e manettara, e particolarmente rispetto alle pratiche dirette che ci appartengono, al di là di qualsiasi conciatura formale e mediata si voglia vendere alla canea elettorale, finché si ha il coraggio di non distogliere lo sguardo, finché non ci si lasci rappresentare se non dalla propria esperienza, indipendente dalle regole imposte, nessun ricatto delle autorità può ottenere di divenire un termine negoziabile con il conflitto permanente..
Lo sciopero di Alfredo, condiviso in questo momento da quello di un’altra ventina di compagnx rivoluzionarx prigionierx, dalle gabbie dello Stato greco come Nigrita a quelle cilene di Santiago e Rancagua, dimostra appunto che solo l’irriducibilità davanti al potere, irriducibilità del singolo e della stessa lotta che persegue, ha la capacità di spezzare le più blindate misure di confinamento preposte alla sottomissione.
Contro la civiltà del dominio e le sue istituzioni totali.