x
LA FEROCIA DEGLI ANARCHICI
A seguito dell’eccidio compiuto a piazza Fontana il 12 dicembre 1969, per la volontà politica di indicarne l’immediata attribuizione dei sospetti di colpa all’area anarchica, Giuseppe Pino Pinelli venne selezionato direttamente dagli archivi identificativi della polizia di Milano per essere pregiudicatamente interrogato, trattenuto in stato di isolamento.
Ferroviere e militante, tra i fondatori del circolo ‘Sacco e Vanzetti’, gravitava nel quartiere operaio di Bovisa, tra il lavoro e il circolo ‘Ponte della Ghisolfa’. Spesso attivo nell’organizzazione di dibattiti politici, aveva messo impegno nell’apertura di una sede USI presso piazzale Lugano nonché di un ulteriore circolo, lo ‘Scaldasole’.
Sequestrato dalla questura per ben oltre le 48 ore legalmente consentite per questo tipo di fermo, gli fu discriminatamente impedito di ricevere il supporto di un avvocato come di qualsiasi contatto con l’esterno, finché sul finire del 15 dicembre il suo corpo non fu ritrovato schiantato al suolo. Pino era stato lanciato dal quarto piano della sede stessa dell’arma.
Fu subito palese che la conseguente versione del suicidio, diversivo riportato fedelmente sulle testate ufficiali, fosse stata montata a scopo di depistaggio.
Una messinscena facente capo al commissario Calabresi, da tempo incaricato di indagini mirate a sorvegliare l’adesione alle lotte popolari ed a impedirne l’adesione, era già noto ai compagni come “commendator finestra”, a significare come per lui ed i suoi sottoposti l’invito alla defenestrazione costituiva una prassi.
Così l’ossequioso servizio offerto da Calabresi, quanto le attività minatorie delle frange neofasciste, ricevettero nei decenni una protezione infame, di rilievo parlamentare. L’episodio che stiamo ricordando costituì un passaggio storico ben chiarificatore delle modalità di intervento e di amministrazione di quella Giustizia ( formale ) su cui lo Stato democratico-repubblicano si reggeva ( … e s’arroga di “reggere” tutt’oggi ).
I PROCEDIMENTI GIUDIZIARI E LA CONNIVENZA ISTITUZIONALE NEI CONFRONTI DEL NEOFASCISMO
L’esplosione avvenne nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura durante l’affollamento previsto per il “mercato del venerdì”. Vennero ferite 88 persone, altre 17 persero la vita.
Lo stesso giorno, nell’arco di un’ora, tra Roma e Milano, furono piazzate altre 4 bombe.
Sebbene fosse evidente che diffondere la paura e l’insicurezza su scala nazionale avesse finalità di interferire con le rivendicazioni sociali operaie, femministe, universitarie, la propaganda ufficiale e la repressione giudiziaria si strinsero in processi di delegittimazione delle stesse, che sul finire degli anni ’60 si susseguirono nelle piazze, nelle occupazioni, nella stampa indipendente, contro le politiche capitalistiche di sfruttamento industriale, di privilegio patriarcale e di disuguaglianza nell’accesso all’istruzione.
Per disperdere tali spinte emancipative e di incitamento alla rivoluzione, quella che è stata riconosciuta come strategia statale della tensione poggiò sui medesimi obiettivi punitivi contro cui le frange neofasciste compirono la loro innumerevole serie di attentati e aggressioni. Godendo di esplicito favore, le organizzazioni paramilitari di estrema destra, queste nell’arco di pochi anni poterono fornire al governo della DC la giustificazione pubblica per una stretta reazionaria contro i movimenti di lotta, criminalizzando nello specifico quello anarchico.
Garantendo l’impunità ad esecutori di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, quale fu il ruolo di Stefano delle Chiaie nei casi di piazza Fontana e della stazione di Bologna, la strumentalizzazione ideologica operata rispetto alla definizione giuridica concernente atti di terrorismo ed eversione, è stata non solo conservata nella prassi interpretativa dell’ordinamento penale in termini di associazione sovversiva – come indicata nel Codice Rocco fin dagli anni ’30 -, ma addirittura estesa, anche recentemente, a reati di sabotaggio e saccheggio e ad attività informali di promozione e finanche solidarietà alle più variegate espressioni e pratiche di dissenso politico non concretamente riconducibili all’idea terroristica del rappresentare una minaccia per la popolazione.
Tornando al 1969, furono Pietro Valpreda, altri 4 suoi compagni del Circolo 22 Marzo (Bagnoli, Borghese, Di Cola e Garganella) e Mander, del Circolo Bakunin, tutti attivi entro il movimento studentesco romano, a ricevere le infamie accusatorie sostenute da Mario Merlino e Sergio Ippolito, già sospettati da compagni come infiltrati nei picchetti, durante i cortei e negli stessi circoli citati.
I media nazionali hanno poi contribuito a legittimarle, costruendo sull incoerenti dichiarazioni depositate dalla questura di Milano, false tesi sul suicidio di Pino correlandole alla responsabilità come esecutore materiale della detonazione nonostante vi fossero prove certe che egli non si trovava affatto presente in quel frangente.
La prima versione ufficiale sulla morte di Pinelli era stata redatta dal Marcello Guida, altro questore di molta fama e molto odore: durante il regime mussoliniano, Guida aveva diretto il carcere per prigionieri politici di Ventotene.
L’inchiesta si concluse senza esclusione di infamie nel ’75, con una sentenza di Gherardo D’Ambrosio del tutto assolutoria per Calabresi ed i suoi sottoposti («perché il fatto non sussiste»), grazie alla paradossale descrizione della caduta dal quarto piano come «accidentale», né suicidio né omicidio bensì «improvvisa alterazione del centro di equilibrio».
Può essere significativo ricordare anche come il giudice Vittorio Occorsio, che si occupo’ della prima interrogazione contro Valpreda, resosi presto conto di come in realtà gli anarchici non fossero implicati nelle centinaia di attentati susseguitisi in quegli anni, fu il primo magistrato ad indagare sui rapporti del terrorismo neofascista con la massoneria della loggia P2. Finì trivellato da 32 colpi di mitra da esponenti di Ordine Nuovo.
Pietro Valpreda, arrestato poche ore prima della morte di Pinelli, subì ugualmente 3 anni di incarcerazione preventiva, Venne scagionato dalle accuse di stragismo soltanto 9 anni dopo.
Al contrario, perché i PM giungessero all’accertamento processuale delle poche caute imputazioni che ammettessero una pista nera, si dovette attentendere una nutrita raccolta di prove, tra cui il ritrovamento un arsenale di esplosivi a Castelfranco Veneto nel ’71, nonché la testimonianza diretta di vari collaboratori pentiti.
Dopo oltre trentacinque anni di limbo giuridico, la corte di Cassazione locale esprime un tardivo riconoscimento della colpevolezza di Franco Freda e Giovanni Ventura nel ruolo di organizzatori mandanti oltre che dirigenti associativi. Era il 2005: una sentenza sul reato di strage che non ebbe logicamente alcuna rilevanza penale, essendo i due stati assolti ben due decenni prima, e in via definitiva, per insufficienza di prove, così come nell’immediato 1972 fu garantito a Pino Rauti nonostante stesse progettando di ricostituire il Partito Fascista, poi inquisito per le stragi di Brescia (’74), della Stazione di Bologna (’80), del treno Italicus (’84). Vicende giudiziare che furono analogamente lasciate decadere, permettendogli di fare carriera politica nel MSI.
.
Allo stesso modo, le responsabilità di Calabresi non vennero mai recepite dalle corti, anzi cerimonialmente difeso dal “discredito” che lamentava da parte delle più alte cariche governative. Eliminato da Lotta Continua, finì per essere schifosamente beatificato quale “testimone del Vangelo ed eroico difensore del bene comune”.. al di là di ogni dubbia questione, era per lo meno un fervente, indiscutibile, servitore.
x
Senza bisogno di troppi dettagli, si può concludere come il trattamento diversificato degli indagati a seconda del ruolo sociale che si riveste non costituisce eccezione, si sa, in quanto diretta emanazione di predeterminati abusi di potere.
Attualmente, quello che fu ben riconosciuto come “stragismo di Stato” è semplicemente divenuto superfluo, sostituito da forme più capillari di coercizione, declinando l’allarmismo securitario in pacchetti legislativi di pronta risoluzione, dall’impatto più gradevole agli interessi privati della cittadinanza, senza farsi mancare la costruzione politico-mediatica di un ampio consenso. Ciò nonostante, se da un lato sono innumerevoli gli esempi che possono dare conferma di quali sconti riceva l’abuso di potere, conferendo piuttosto promozioni per lo svolgimento dei propri compiti repressivi, non è cambiata la contraddizione tra questo tipo di Giustizia e quella che potremmo riscontrare, invece, in qualsiasi lotta che non si faccia corrompere.
Ci troviamo di conseguenza circondatx da una lunga lista operazioni che non trova concretezza nemmeno secondo gli stessi termini giurisprudenziali indicati, eppure, che al tempo stesso pretende di costituire uno strumento coercitivo di dissuasione… Abbiamo da poco assistito a pretesti detentivi deliranti, che senza mezzi termini ravvisano nella libertà di protesta un intento già concretamente terroristico.
Sempre più banalmente, fattori di “interruzione di pubblico servizio”, “radunata sediziosa”, “travisamento”, compongono ormai la formula consueta per colpire semplici presidi: definendoli come espressione di disordine, i tribunali s’illudono di privare del loro significato politico-comunicativo. Tuttavia, rimane proprio questo il movente non esplicitato degli arresti. Il che per esempio ha comportato, al riesame del mese passato per 61 dex compagnx che nel 2016 contestarono la costruzione di un muro di confine nazionalista e razziale, ad una somma di 37 anni di condanna alla reclusione (e solo dopo la riduzione della pena massima di 2 anni, che era stata ventilata in una precedente udienza per la maggior parte dex arrestatx).
.
Solo negli ultimi 6 mesi è inoltre trascorsa l’incarcerazione preventiva di 7 compagnx del Tribolo e di altrx 5 del Bencivenga, senza contare i domiciliari. Si attende processo la prossima settimana per x compagnx romani, ancora reclusx da giugno a causa del rinvenimento di un’ulteriore eversione dell’ordine democratico negli incendi a vuote stazioni ENI o davanti ad una caserma, per cui in particolare a Claudio sembra siano stati prospettati 7 anni di isolamento… Lo rivogliamo tra noi: negli spazi, ai concerti, nelle strade.
Non ultima, l’accusa di strage per il piazzamento di ordigni, sempre senza alcuna casualità di ferimento di civili. L’attribuzione di associazione a fini di stragismo appena confermata comporta la destinazione di Alfredo a 20 anni in Alta Sicurezza, di Anna a 16 e mezzo.. Cui si sono appena aggiunte, a differenza del processo Scipta Manent in primo grado, altre nove condanne tra un anno e mezzo ed i due anni e mezzo per “istigazione a delinquere”, condanna tutta giustificatasi con la sola pubblicazione di riviste come ‘Croce Nera Anarchica’.
Per prima cosa si dovrebbe comprendere il portato di determinate azioni e rivendicazioni, senza mancare di portare la nostra solidarietà di fronte alle ripercussione legale e carceraria di queste.
Ribadendo, gli attacchi agli istituti del potere, o anche semplicemente la presenza attiva contro cui, con rinnovata foga, i tribunali si apprestano a tracciare reati di associazione sovversiva e terroristica contro la personalità dello Stato, stanno quindi a ricordare la contrapposizione tra la Giustizia di governo e la ribellione ad essa.
La ribellione alla violenza su cui si fonda la prima, ribellione alla subdola forma di garanzia di conservazione di privilegi (altrettanto ideologici e di classe quanto 50 anni fa), è l’unica giustizia in cui possiamo riconoscerci.
Vicende come l’omicidio di Pinelli ci riportano alla mente la storicità di tale contrapposizione, sedimentata della tracotanza del penalismo carcerario, che separandoci fisicamente dax nostrx compagnx crede di indurci a disperderci…
Peccato che non possiamo e non vogliamo dimenticare.